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  • Immagine del redattoreLeonardo Apollonio

Verso un Tentativo di Definizione dell’Arte - o se il Quadrato è Arte


Abstract

Questo scritto, estratto di un articolo ancora inedito (che uscirà nell'edizione di giugno con il titolo "Le AI sono in grado di produrre arte?", Leonardo Apollonio) l'autore cerca di rispondere ad una domanda su cui la filosofia estetica e non riflette da tempo: cos'è l'arte? Si può definire? Alcuni sostengono di no. C'è chi pensa sia soggettiva, chi sia solo sinonimo di "bello", ma qual è la risposta corretta? Attraverso processi logici e brillanti esempi Apollonio giustifica e prova l'oggettività dell'arte e ne prova a dare una sua definizione che servirà da base ai successivi paragrafi dell'articolo integrale, da giugno disponibile gratuitamente sul nostro sito (in versione impaginata e online)

Verso un Tentativo di Definizione dell’Arte - o se il Quadrato è Arte

In tanti hanno cercato di definire l’arte. In tanti hanno fallito e, forse, io sarò uno di quelli che fallirà. Wittgenstein sosteneva che e non sl’arti potesse definire in quanto i prodotti artistici sono troppo vari per poter essere unificati sotto una sola definizione. Tuttavia per far luce su ciò su cui questo articolo vuole far luce è necessaria che vi sia una definizione dell’arte. Un mio collega, Francesco Paolini (conversazione personale, Aprile 28, 2023) la definì come “Una reazioni alle imperfezioni del mondo” mentre, un secondo collega, Kali, (conversazione personale, Aprile 30, 2023) anch’esso espresse una sua definizione di questo concetto scrivendo: “Esprimersi oltre il significante. Rappresentare, dire, oltre il concetto delle parole”. Tuttavia il fatto che l’arte sia un modo di esprimere un concetto, un messaggio, non è qualcosa di scontato e su cui tutti concordano. Se questo segna una prima distinzione tra le posizioni, queste due visioni dell’arte (i.e., arte come tramite per la comunicazione d’un messaggio o no) riescono entrambe a passare quella “sorta di test” che Jerrold Levinson formulò nel suo articolo Refining Art Historically (Levinson, 1989) nel quale sostiene che nel momento in cui un artista crea qualcosa senza l’intento che in un futuro ci si riferisca a quel qualcosa allo stesso modo con cui ci si riferisce alle opere d’arte passate e né ha alcun interesse verso il creare arte, allora quel qualcosa non è arte. Invero Levinson scrive:


Originale
“My view does, however, entail a sort of rock-bottom test that could be expressed thus. If a would-be artmaker will not himself acknowledge having the sort of intent I posit-that is, if we ask him point blank whether his object is intended, at least initially, to be regarded in some way past art was, and he denies it, nor admits of any other intended regard that we can identify to be in the class of past art regards-and if we can see no grounds for attributing such intent on his behalf, then my account says what he is doing cannot be art” (Levinson, 1989)
Traduzione
"Il mio punto di vista, tuttavia, comporta una sorta di test di fondo che potrebbe essere espresso in questo modo. Se un aspirante creatore d'arte non ammette di avere il tipo di intenzione che io propongo - cioè, se gli chiediamo a bruciapelo se il suo oggetto è destinato, almeno inizialmente, a essere considerato in qualche modo come lo era l'arte del passato, e lui lo nega, né ammette nessun'altra intenzione che possiamo identificare come appartenente alla classe di considerazioni dell'arte del passato - e se non vediamo alcun motivo per attribuirgli tale intenzione, allora il mio punto di vista dice che ciò che sta facendo non può essere arte". (Levinson, 1989)

Spesso mi è capitato di sentire o leggere qualcosa di qualcuno che usava il termine “arte” come sinonimo di perfezione estetica. Dunque qualcosa di splendido esteticamente. Qualcosa che rispetta tutte le regole di questo tipo di bellezza, come, per esempio, alcuni principi armonici e alcune giuste proporzioni. Di certo dunque una bellezza estetica strabiliante sarà arte, qualsiasi sia l’oggetto o il soggetto che è custode di questa bellezza: Si immagini, dunque, l’uomo più bello che si riesce ad immaginare. Costui è arte? Io non definirei arte qualcuno, non definirei arte una sterile bellezza fisica. Si pensi allora, siccome la bellezza fisica di un individuo ho appena detto non è considerabile arte, ad una cornice quadrata di un quadro. I lati della cornice sono di uguale lunghezza in modo preciso al millimetro, il colore è uniforme, e i lati sono dritti senza una minima curva. Questa è la bellezza estetica par excellence, non v’è nulla di più proporzionalmente perfetto ed armonicamente perfetto di un quadrato. La cornice quindi è arte. Dunque se si disegna un quadro su un foglio con la stessa precisione con cui è stata costruita la cornice si avrà un altro esempio di arte. Ma la bellezza estetica viene dalla tékne (dal gr. “tecnica”), da un rispetto delle regole rigido e da null’altro. Qualsiasi macchina è capace di creare bellezza estetica: se si usa un compasso il compasso disegna un cerchio perfetto. Sarebbe giusto dire perciò che il compasso può creare arte? Lo stesso Platone definisce l’arte come la rappresentazione di qualcosa, ma così dicendo una perfetta rappresentazione di un triangolo sarebbe considerabile arte.

Innanzitutto bisogna decidere: l’arte è soggettiva o oggettiva? Se l’arte fosse soggettiva non si potrebbe, come sosteneva Wittgenstein (sebbene per altri motivi), unificare l’arte sotto una sola definizione in quanto ciascuno avrebbe un’idea di arte diversa e ciascuna cosa, ora per qualcuno ora per qualcun altro, potrebbe essere allo stesso tempo arte e non-arte. Dunque, se l’arte fosse soggettiva, nulla potrebbe impedirmi dal sostenere che la sedia su cui in questo momento sono seduto è arte e se qualcuno mi chiedesse di motivare questa asserzione mi basterebbe dire: “Per me è così.” E nulla ci sarebbe che si potrebbe obbiettare a ciò. Allo stesso modo, se fosse soggettiva, nessuno potrebbe dire che questa sedia non è arte perché come potrebbe, in tutta coscienza, essere sicuro che su sette miliardi e novecento milioni di abitanti non ci sia nemmeno uno di questi che considera la sedia su cui sono seduto arte? Anche gli escrementi di un cane sarebbero arte nel momento in cui l’arte è soggettiva perché, di nuovo, come si può essere sicuri che su quasi otto miliardi di persone non ve ne sia una che li consideri arte? Inoltre, perché qualcosa sia arte, non serve che vi sia una maggioranza di persone a considerarla tale, bensì basta solo che qualcuno in tutto il modo (dunque che una sola persona su otto miliardi) consideri che le feci di cane siano arte per far sì che nessuno possa dire “le feci di cane non sono arte.” Perché lo sono, per qualcuno. Ma se tutto è arte allora nulla lo è. Mi spiego meglio: il concetto di arte esiste per distinguere l’arte da ciò che è non-arte, ma se tutto è arte allora non v’è bisogno di dire “questo è arte.” perché è qualcosa che è già dato dalla semplice esistenza della cosa. Se tutto fosse bello, che bisogno ci sarebbe di pensare il bello? Se tutto fosse brutto che bisogno ci sarebbe di pensare il brutto? Basterebbe constatare l’esistenza di qualcosa per constatare che è brutto. Allo stesso modo se tutto è arte basta che qualcosa esista perché sia arte e dunque non v’è bisogno di questo concetto. Ora si potrebbe obbiettare che il soggettivismo che io cerco di confutare è qualcosa che non prova l’inesistenza dell’arte, giacché esso non è un giudizio assoluto, ma un giudizio unicamente del soggetto spettatore. E’ lo spettatore che dice: “per me è arte” oppure “per me non è arte; tuttavia qui si ricade in un errore comune: si scambia l’arte per la bellezza. La primaria differenza fra arte e bellezza risiede in un dato fondamentale che sintetizza molto bene una frase presente in un articolo del 2015 della rivista Philosophy Now:


Originale
“The fundamental difference between art and beauty is that art is about who has produced it, whereas beauty depends on who’s looking.”(Chiara Leonardi et al., 2015)
Traduzione
"La differenza fondamentale tra arte e bellezza è che l'arte riguarda chi l'ha prodotta, mentre la bellezza dipende da chi la guarda.” (Chiara Leonardi et al., 2015)

Se dunque il soggettivismo del “per me” rispetto alla bellezza può essere sostenuto, per l’arte non può; in quanto non siamo noi a scegliere se qualcosa è arte, ma l’artista stesso nel momento in cui vuole creare arte. Se d’altronde così non fosse, l’arte diverrebbe attributo alla cosa e non la cosa in sé, sarebbe, difatti, una caratteristica che lo spettatore x attribuisce nella sua soggettività alla cosa; ma l’arte è la cosa e non un attributo alla cosa. E’ dunque l’artista ha decidere se creare arte o meno, adempiendo dunque al requisito di cui Levinson scrisse (vd. supra.). Ciò però non vuol dire che l’arte è soggettiva, perché altrimenti tutto, come espresso sopra, può essere arte, perché non potrò mai dire con certezza che la persona che ha fatto la sedia su cui mi siedo non l’abbia fatta decidendo che essa sia arte. Dunque l’oggettività dell’arte deve per forza di cose essere, altrimenti è l’arte a non essere.

Dunque spero di aver chiarito perché l’arte non può essere soggettiva. Una volta compreso che non può che essere oggettiva, dobbiamo dunque comprendere se oggettivamente un quadrato può essere arte e dunque se l’arte è effettivamente solo una bellezza estetica. Poniamo allora una condizione [K1]:


[K1]: L’arte è bellezza estetica.


Poniamo ora una seconda condizione derivata dalla prima [k1] e un assunto [A1]:


[K1]: L’arte è bellezza estetica.

[k1]: L’artista è colui che riesce a creare bellezza estetica


[A1]: Il prodotto dell’artista è arte


Ora facciamo finta per assurdo che il quadrato non sia una forma di bellezza estetica. Tutti coloro che posseggono l’abilità tecnica per creare una forma di bellezza estetica sono artisti in quanto tutti quanto possono, se vogliono, creare arte. Tutti dunque sono artisti giacché tutti possono produrre arte; poniamo ora una seconda condizione assurda: tutti ad un preciso momento decidono che bisogna solo creare cose esteticamente belle: tutto quello che verrebbe creato di lì in poi sarebbe arte e dunque si riverificherebbe la condizione sopra espressa in cui se tutto è arte l’arte non esiste. Ora certo non sto dicendo che se l’arte fosse bellezza estetica non esisterebbe, ma solo che se l’arte fosse bellezza estetica sarebbe qualcosa di apprendibile con la tékne e questo la renderebbe qualcosa di innanzitutto estremamente comune e di estremamente sterile e in seconda istanza sarebbe anche qualcosa che, almeno nella teoria (e non nella fantasia), potrebbe cessare di esistere nel modo più semplice di tutti. Ma, se questa dimostrazione può non soddisfare chi legge, allora forse lo soddisferà una seconda dimostrazione. Si dia dunque un secondo assunto [A2] con il quale per esempio il critico d’arte Clive Bell (Bell, 1914) e il filosofo Alexander Nehemas (Nehamas, 2007) sono d’accordo:


[A2]: La bellezza è soggettiva.


Dato dunque [A2], se l’arte è bellezza estetica, l’arte è soggettiva e dunque se l’arte è soggettiva ritorniamo di nuovo al problema della prima dimostrazione, ovvero: se l’arte è soggettiva tutto è arte e se tutto è arte l’arte cessa di esistere.

Ma dunque se l’arte non è perfezione estetica schiava di mera tékne e neppure è qualcosa di soggettivo, allora cos’è? Il filosofo americano Dennis Dutton (Dutton, 2006) conclude un suo articolo realizzando quello che sembra essere un problema - nel quale infatti ricade anche quattro anni dopo Gregory Currie (Currie, 2010) -:


Originale
“I had toyed with ideas presented here for years before a presentation by Julius Moravcsik at the annual meeting of the American Society for Aesthetics in 1992 finally convinced me that art as a natural phenomenon could be understood only in terms of a list of criteria.”(Dutton, 2006)
Traduzione
"Ho accarezzato per anni le idee qui presentate prima che una presentazione di Julius Moravcsik alla riunione annuale dell'American Society for Aesthetics nel 1992 mi convincesse definitivamente che l'arte come fenomeno naturale può essere compresa solo in termini di un elenco di criteri". (Dutton, 2006)

E successivamente nel 2010, difatti, Currie scrive, nel tentativo di dare una definizione di arte:


Originale
“(2coTK) For all co, r, k, something is art in co at r for K if it is made in K-in-co at r, and intended for regard by its maker in one of the ways that art produced in K-in-co prior to r was properly regard”[1](Currie, 2010)
Traduzione
"(2coTK) Per tutti i co, r, k, qualcosa è arte in co a r per K se è prodotto in K-in-co a r, e destinato a essere considerato dal suo creatore in uno dei modi in cui l'arte prodotta in K-in-co prima di r è stata correttamente considerata".[1] (Currie, 2010)

La definizione di Currie difatti è, proprio come aveva preannunciato Dutton nient’altro che una sterile lista di caratteristiche e criteri che qualcosa deve avere per essere considerata arte.

Ma se non si volesse ridurre l’arte ad una lista di caratteristiche a cui l’artista deve attenersi per creare arte?

Certo, perché sia data una definizione devono essere dati anche dei requisiti. Tuttavia non tutte le definizioni sono una serie di caratteristiche e limiti a cui la cosa deve attenersi per rientrare nella definizione; e, se si vuole continuare a vedere l’arte come qualcosa di libero, i limiti devono essere limitati al minimo.

Poniamo dunque che l’arte debba essere qualcosa di utile. Oscar Wilde scrisse che l’arte è futile e che l’unico modo per far sì che essa non affoghi nella sua futilità è ammirarla abbastanza da renderla utile con la nostra ammirazione.


“Possiamo perdonare a un uomo l'aver fatto una cosa utile se non l'ammira. L'unica scusa per aver fatto una cosa inutile è di ammirarla intensamente. Tutta l'arte è completamente inutile.” (Oscar Wilde, 1890)

Ma che senso ha qualcosa senza scopo, qualcosa di inutile? Alcuna. Dunque l’arte non avrebbe ragione d’essere. Anche l’arte di Wilde ha uno scopo: quella di essere ammirata. E’ certo uno scopo in sé, ma pur sempre scopo.

Dunque quale dev’essere lo scopo dell’arte? Io sostengo che uno scopo che qualcosa deve possedere non può essere qualcosa di provato. Io non posso provare che lo scopo che do all’arte sia l’unico scopo che l’arte possa avere, giacché dovrei provare che ogni opera d’arte abbia lo scopo ch’io dico, e nessuno può provarlo. Però io dico che l’arte deve avere lo scopo di comunicare qualcosa. Questo qualcosa però non deve essere un messaggio qualsiasi, altrimenti il semplice parlare ricadrebbe in questa definizione: l’arte deve comunicare qualcosa che ci aiuta a comprendere e/o ad affrontare la natura del mondo. Se la definizione di Paolini di sopra riportata era quella di una reazione alle imperfezioni del mondo, essa rientra nella mia definizione, in quanto una reazione alle imperfezioni del mondo è qualcosa che aiuta a capire il mondo e anche, in una certa misura, ad affrontarlo. In The Urgency of Art (Sam McAuliffe, 2023) Sam McAuliffe si chiede a cosa serva l’arte e la risposta che si dà non è poi così distante da quella di Paolini o dalla mia, né da quella di Kali:


Originale
“The contemporary urgency of art is that it teaches us to engage with the world in vital ways many of us as forgotten, overlooked or ignored” (Sam McAuliffe, 2023)
Traduzione
"L'urgenza contemporanea dell'arte è che ci insegna a impegnarci con il mondo in modi vitali che molti di noi hanno dimenticato, trascurato o ignorato". (Sam McAuliffe, 2023)

Dunque l’arte deve, prima di essere bella esteticamente, comunicare qualcosa di necessario a l’essenza umana per affrontare il mondo in cui l’artista si trova e dunque, in un certo qual modo, adempiere a l’ultimo filtro dei tre di cui Socrates (e non Socrate), uno dei personaggi del libro The Way of the Peaceful Warriors di Dan Millman, disse:


“Nell'antica Grecia Socrate aveva una grande reputazione di saggezza. Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse: - Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico? - Un momento - rispose Socrate. - Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci. - I tre setacci? - Sì. - continuò Socrate. - Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Lo chiamo il test dei tre setacci. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è vero? - No... ne ho solo sentito parlare... - Molto bene. Quindi non sai se è la verità. Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di buono? - Ah no, al contrario! - Dunque, - continuò Socrate, - vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere. Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setaccio, quello dell'utilità. E' utile che io sappia cosa mi avrebbe fatto questo amico? - No, davvero. - Allora, - concluse Socrate, - quello che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile; perché volevi dirmelo?” (Millman, 2006)

Dunque, l’arte deve essere utile. Ma utile in che modo? Come detto sopra, comunicando qualcosa sul mondo e/o su come affrontarlo; “mondo”, tuttavia, inteso nel senso più ampio, ovvero come complesso di ogni cosa che è in esso. Certo, si potrebbe obbiettare che già la scienza in un certo qual modo spieghi il mondo. Sì, ma la scienza, come spiega nuovamente Sam McAuliffe, è solo una spiegazione sterile. L’arte ha il compito che null’altro ha di spiegare il mondo attraverso le emozioni. Se un’opera d’arte spiega il mondo, ma non fa provare nulla a chi si rende partecipe dell’opera, non è arte; allo stesso modo, se chi sperimenta l’opera prova qualcosa senza apprendere nulla sul mondo (e dunque anche su di sé) non è arte. L’arte deve mandare un messaggio e, come dice Kali, lo deve fare al di à delle parole e dei concetti ancorati ad essa, ma muovendo quelle cose ineffabili che sono i sentimenti. Dire che l’arte deve spiegare il mondo non basta, perché quello lo fanno già molte cose, tutte in modo diverso e con risposte diverse, ma lo fanno: religione, scienza, filosofia ecc. D’altra parte non può nemmeno solo muovere i sentimenti, altrimenti qualsiasi cosa che accade che muove il sentimento è arte. Il compito dell’arte risiede nell’umano più naturale: le emozioni. L’arte, perché sia arte, deve dunque muovere l’uomo tramite le emozioni e i sentimenti (ma senza banalità) e tramite essi spiegare ciò che il resto delle cose non riesce a spiegare, il che non vuol dire per forza spiegare cose nuove, ma anche spiegarne di già indagate ma in modo diverso. La bellezza estetica con l’arte c’entra in modo estremamente relativo e superficiale.

E dunque qual è la mia definizione di arte:


Arte è ciò che muovendo il sentimento dell’uomo riesce a far comprendere ad esso nuove cose sul mondo.


E, sebbene ciò non possa essere dimostrato scientificamente, credo che possa essere perlomeno logicamente dimostrato senza prove dicendo che nulla può fare ciò che non sia arte e nulla può fare l’arte che non sia ciò (perché se facesse altro farebbe qualcosa di cui si occupa già qualcos’altro).

Dunque l’artista per fare arte deve essere conscio di star facendo arte e deve essere conscio di essere artista giacché per mandare un messaggio attraverso qualcosa bisogna che si sia coscienti di cosa e di come lo si sta comunicando e quindi questa mia tesi si rifà in gran parte a quel test che Levinson scrisse tempo fa.


Note

[1] Dove “2coTK” sta a significare una serie di condizioni definite man mano che l’articolo prosegue.


Bibliografia


1. Bell, C. (1914). Art as significant form. Eds. George Dickie, Richard Sclafani, Ronald Roblin, Aesthetics: A Critical Anthology, 73–83.

2. Chiara Leonardi, Ian Malcomson, Cheryl Anderson, Derek Halm, Brannon McConkey, David Howard, Colin Brookes, Tommy Törnsten, Catherine Bosley, Neil Hallinan, Alistair MacFarlane, Mike Mallory, & Joseph Nieters. (2015). What is Art? and/or What is Beauty? Philosophy Now, 108, 14–17. https://philosophynow.org/issues/108/What_is_Art_and_or_What_is_Beauty#:~:text=The%20fundamental%20difference%20between%20art,seen%20as%20%27traditionally%27%20beautiful.

3. Currie, G. (2010). Actual Art, Possible Art, and Art’s Definition. The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 68(3), 235–241. http://www.jstor.org/stable/40793265

4. Dutton, D. (2006). A Naturalist Definition of Art. The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 64(3), 367–377. http://www.jstor.org/stable/3700568

5. Levinson, J. (1989). Refining Art Historically. The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 47(1), 21–33. https://doi.org/10.2307/431990

6. Millman, D. (2006). Way of the Peaceful Warrior: A Book that Changes Lives. H.J. Kramer. https://books.google.it/books?id=NEU-1RfOMEwC

7. Nehamas, A. (2007). Only a promise of happiness: The place of beauty in a world of art. Princeton University Press.

8. Oscar Wilde. (1890). Il Ritratto di Dorian Gray (Gerardo D’Orrico, Ed.; 2021st ed.). Beneinst.it. https://www.beneinst.it/media/media/Ebook/pdf/Oscar%20Wilde%20-%20il%20ritratto%20di%20Dorian%20Gray.pdf

9. Sam McAuliffe. (2023). The Urgency of Art. Philosophy Now, 155, 34–35. https://philosophynow.org/issues/155/The_Urgency_of_Art

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