Leonardo Apollonio
Libertà e Libero Arbitrio nella Società Contemporanea
Aggiornamento: 11 apr
Abstract
N.B. : Questo articolo è stato scritto con un massimo di 10000 battute per un progetto di filosofia diretto dall'"Università degli studi Roma Tre" .
La libertà è un diritto, un diritto inalienabile espresso nella Costituzione Italiana e all’interno della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Il libero arbitrio è qualcosa che, secondo molti intellettuali, e secondo l’opinione comune, possediamo ed utilizziamo. Ma è effettivamente così? Grandi intellettuali, sociologi e filosofi sostengo il contrario; da Zygmunt Bauman, passando per Michel Foucault, a Chomsky, a Francis Bacon.
La volontà di questo articolo è di mostrare come, nella società del XXI sec., il libero arbitrio e la libertà sono annientati dalla società, che, seppur è vero che deve stabilire delle regole per il proprio funzionamento, nel XXI sec, ha annientato ogni forma di libero arbitrio.
Introduzione
Il libero arbitrio è un concetto filosoficamente complesso e sul quale i filosofi si interrogano da moltissimo tempo. Ma prima di analizzare qualcosa, bisogna sempre definirla. “Libero arbitrio” possiede in sé la definizione di libertà e, sebbene non siano due concetti identici, sono strettamente collegati (appunto lo sono persino nella lingua). Definiamo dunque prima la nozione più complessa, quella di libertà:
“La nozione di libertà può definirsi negativamente come assenza di ogni costrizione e, positivamente, come la condizione di chi può fare ciò che vuole. […] Nel significato più pieno del termine, la libertà si definisce come «attuazione» volontaria cui concorre il più gran numero di motivi; allora la nostra azione non è solo espressione di una scelta personale, ma di una scelta che può essere anche razionalmente giustificata agli occhi di tutti”[1]
Partendo da questa definizione del dizionario di filosofia possiamo incominciare ad approcciarci al concetto di libero arbitrio. “Capacità di scegliere liberamente, nell’operare e nel giudicare.”[2] Comprendiamo dunque come il libero arbitrio sia una parte dell’applicazione della libertà, in quanto si tratta della “capacità di scegliere liberamente” e non di essere liberi. Esso è quindi una parte della libertà, la libertà di scelta; possiamo, forse, dire sia anche quella con la quale la parola “libertà” è intesa comunemente, ovvero la possibilità di fare scelte libere. Tuttavia la libertà non si limita solo a questa capacità, sebbene, però, è in questa capacità che se ne vede la dimostrazione[3]. Qui arrivano soventi alla mia mente le parole del sociologo Zygmunt Bauman, il quale nel 1988 scrisse un saggio proprio sulla libertà (intitolato infatti Libertà)
“L’assenza di divieto e delle sanzioni punitive è sì una condizione necessaria per agire seguendo i propri desideri, ma non è una condizione sufficiente. Puoi essere libero di lasciare il tuo Paese quando vuoi ma non avere il denaro per comprare un biglietto e andartene. […] Pertanto, la libertà racchiude in sé molto più della semplice assenza di restrizioni. Per fare, c’è bisogno di risorse. La nostra espressione[4] non ci permette tali risorse, ma fa finta, a torto, che la cosa non sia importante” [5]
Dunque, oltre ad un’assenza di divieto, che è ciò che definisce il libero arbitrio, la libertà propriamente detta (non nel senso comune) richiede anche una disponibilità di mezzi e di risorse. Oltre, però, a questi due requisiti, la libertà, per essere (sia come entità assente, sia come entità presente) deve possedere un terzo requisito fondamentale: una relazione. Mi spiego meglio, io per essere libero devo esserlo in relazione ad un individuo altro. La mia libertà, se sono solo, non è libertà in quanto non v’è qualcuno a limitarla, a farla esperire, non v’è l’antitesi, giacché la libertà è definita dall’assenza di libertà; infatti, se la sua assenza non fosse data, noi non potremmo definirla né constatarla. Noi – sociologicamente parlando - leggiamo la libertà in base alla sua assenza: qualcuno è libero in quanto qualcun altro non lo è. Se fossimo tutti liberi, la libertà non sarebbe data, allo stesso modo in cui se tutti fossimo belli il bello non sarebbe dato, oppure se tutti fossimo dissoluti non ci sarebbe data la virtù, eccetera. Per riprendere le parole di Bauman:
“Le due condizioni[6] erano diverse sotto molti punti di vista, ma un aspetto della loro opposizione – quello che la natura della libertà coglie – dominava su tutto il resto: la differenza tra azioni che dipendono dalla volontà degli altri e azioni che dipendono dalla propria volontà[7] Perché uno sia libero ci devono essere almeno due persone. La libertà denota una relazione sociale, un’asimmetria di condizioni sociali: essenzialmente implica differenza sociale […]”[8]
Ecco dunque che la libertà ci si presenta sotto una nuova luce: essa è una relazione sociale, la cui manifestazione più evidente la vediamo nel libero arbitrio, che è data dalla possibilità di fare ciò che vogliamo attraverso l’assenza di divieti e attraverso la disponibilità delle risorse e dei mezzi necessari al compimento del nostro volere.
Panoptismo e morale
Facciamo un passo indietro però. La libertà si dà sempre per scontato sia qualcosa di buono, qualcosa di socialmente necessario (a tal punto che ci siamo persuasi della nostra libertà nella società contemporanea), ma se si guarda ad essa da un’altra angolazione si può subito notare come essa sia in contrasto con il concetto di società stesso, se si prende la definizione di libertà che abbiamo dato poc’anzi. Infatti, la società, sia nella definizione filosofica di “Condizione degli uomini (o degli animali) che vivono sotto leggi comuni”[9], sia nella definizione più sterile di “Insieme organizzato di individui”,[10] è in contrasto con la libertà intesa come possibilità di compiere il proprio volere; in quanto la società, essendo un insieme di individui, necessita di cooperazione ed altruismo, e dunque l’egoismo libertario, che portano con sé la libertà ed il libero arbitrio nell’atto di fare il proprio volere esenti da costrizioni, è in profondo contrasto con la cooperazione e la sottomissione del bene individuale ad un bene comune. Potremmo, dunque, vedere, seguendo questa logica, il filosofo scozzese David Hume come un anti libertario, in quanto lui sosteneva che la virtù risiede nell’azione utile al bene comune, sottomettendo, per cui, il dovere egoistico del singolo ad un utilitarismo collettivo. Inoltre, come detto prima, la libertà di un individuo x si afferma nell’assenza di essa in un individuo y, dunque è necessaria per la libertà la diseguaglianza, la differenza tra la sua presenza e l’assenza; mentre una società equa mira all’uguaglianza. Se dunque si legge la libertà in questo senso, ovvero nel suo senso proprio, nel suo senso primo e più profondo, essa è una manifestazione dell’io egoistico dell’uomo, ed essa è in profonda contradizione con la società e le relazioni sociali. In ogni società viene postulata la libertà. La libertà è un diritto fondamentale (siamo persuasi di averlo, anche se non lo abbiamo). Ma la società, specialmente quella moderna, è vigliaccamente contro essa. Il Panopticon[11] è un prototipo di modello carcerario ideato dal giurista Jeremy Bentham; esso è basato su ruoli stabiliti e sulla divisione di essi in modo accurato. Vi sono i detenuti, prigionieri incapaci di agire contro il sistema (che mira a rieducare il detenuto) in quanto persuasi di un continuo controllo da parte della seconda categoria di uomini: i controllori[12]. I controllori hanno l’unico compito di far credere ai detenuti di starli controllando ogni secondo e di seguire le istruzioni che il padrone della struttura ha fornito. I detenuti verranno così condotti verso una rieducazione senza possibilità di rinuncia. I controllori però bisogna che siano controllati a loro volta nel loro processo di controllo, affinché svolgano giustamente il loro compito e le loro mansioni. Viene dunque nominato un capoprogetto che controlla i controllori esattamente con gli stessi meccanismi con cui quest’ultimi controllano i detenuti. L’ordinamento dunque segue una scala di valori così composta:
Capo-progetto > Controllore > Detenuto
Così facendo l’unico soggetto libero è il capo-progetto, mentre il controllore, seppur da una parte libero in quanto padrone del detenuto, è comunque costretto dal suo superiore e dunque è per metà detenuto; infine il detenuto vero e proprio finisce per essere del tutto sottomesso e prigioniero. Il primo a vedere in questo modello carcerario il modello della società capitalista fu il filosofo Micheal Foucault il quale applicò il Panopticon alla società moderna. “L’ispezione funziona senza posa. Il controllo è ovunque all’erta”[13] scrive in uno dei suoi più celebri saggi Sorvegliare e punire. In effetti i vari ruoli sovra-elencati che Bentham pensò per il controllo dei detenuti si applica alla società moderna attraverso un controllo mediatico in cui i media rivestono il ruolo di controllore. Lo mostrano bene Noam Chomsky e Edward S. Herman nel loro saggio sul potere dei mass-media Manifacturing Consent: The Political Economy of the Mass Media. Essi infatti sono, per usare le parole degli autori:
"Delle potenti ed efficaci istituzioni ideologiche che compiono una funzione di propaganda supportiva del sistema in cui si trovano, causata da una dipendenza dal mercato in cui sono situate, da presupposti interiorizzati, auto-censura e con una coercizione occulta". [14]
Se si può chiamare “programmazione” quel processo che la società impone allo stesso modo in cui il Panopticon impone una rieducazione implicita ai suoi detenuti, si può anche dire che veniamo istruiti e programmati non solo attraverso il potere mediatico studiato da Chomsky ed Herman, bensì anche attraverso una morale, che, essendo null’altro che un tratto antropologico dei vari popoli, come diceva Friedrich Nietzsche, ci programma sin dalla nascita. Dogmi religiosi, tabù sociali, morale sociale, tutte queste cose non sono null’altro che quegli idola da cui Francis Bacon ci suggerì di allontanarci. Società e media ci addestrano e ci programmano a comportarci secondo una morale ben definita e a seguire una determinata via che porta verso la burocratizzazione impiegatizia che la società moderna offre. È libertà questa? È libero arbitrio l’agire programmati da una morale definita e da un potere mediatico fortemente invadente?
Neo-romanticismo e liberal-imperialismo
Nell’odierna società (XXI sec.) si è raggiunti l’erronea convinzione[15] che la società occidentale dei paesi industrializzati e sviluppati abbia raggiunto uno stato di fiera libertà, in cui risiede una sorta di arroganza patriottica, nel quale si guarda agli stati sotto-sviluppati come a terre che necessitano una liberazione. Lo spirito romantico di un tempo aveva come forte elemento un potente patriottismo (nel senso di unione nazionale ed amore per la patria che rendeva eguali) e un sentimento di libertà possente, lo dimostrata l’essere annoverato fra le parole chiave della Giovine Italia: “[…] consacrano[16], uniti in associazione, il pensiero e l'azione al grande intento di restituire l'Italia in Nazione di liberi ed eguali, Una, Indipendente, Sovrana”[17]. Tuttavia ora questo spirito romantico, che sarebbe più opportuno chiamare neo-romantico, è mutato. La libertà ormai l’abbiamo conquistata, noi, fieri occidentali; siamo liberi. È giunto dunque il momento di liberale quei popoli oppressi da un opprimente stato di prigionia e donargli la libertà, da nazioni unite, libere, superiori. Il sentimento patriottico è presente in quanto la nazione tutta, come entità, si identifica in una super-nazione che ha il compito di liberare un’altra nazione da uno stato di “sottomissione” e “prigionia”. Come si liberano, dunque, popoli vessati da governi ingiusti, popoli in condizioni pietose? Si conquistano, si colonizzano, si impone una cultura superiore, migliore, più evoluta e libertaria. Che odori del profumo di evoluzione, che abbia il gusto della libertà. E dunque nasce così quello che, a parer mio, è un imperialismo che si propone, ironicamente e paradossalmente come scopo la libertà. Chiamo questo imperialismo libertario “liberal-imperialismo”. Ed ecco dunque che l’evoluzione ad un post-romanticismo, ad un’epoca moderna, è un’utopia, un mito del XXI secolo. Viviamo ancora imprigionati negli arroganti virtuosismi patriottici, nei gesti di ipocrita solidarietà a nazioni, con il mero scopo di sfoggio d’una morale e d’uno stato di evoluzione superiori.
Conclusioni
La libertà siamo convinti di averla, ma veniamo in realtà controllati, plasmati, programmati, sin dal primo giorno di vita dai mass-media che “fabbricano consenso”, da una morale sociale che ci impone un determinato comportamento e un determinato pensiero, da un’istruzione che demolisce a poco a poco il pensiero critico imbevendolo di nozionismo finalizzato alla creazione di impiegati, dipendenti, moderni proletari incoscienti della propria situazione; dalla religione che è da sempre un instrumentum regni. Il libero arbitrio non può esistere se prima non esiste la libertà, e, dunque, anche se crediamo di possedere anche questo, finiamo per agire come macchine, programmati a dovere e inconsci di questa programmazione. Siamo un programma perfetto. E dunque, da questa posizione di elevata superiorità ci prefissiamo il nobile scopo di donare questa libertà ad altri popoli che sono imprigionati tanto quanto noi, solo in modo esplicito. E in questo paradossale atto di liberazione ci eleviamo ad uno stato di potenti e fiere nazioni che fanno della libertà un diritto (tuttavia solo nominalmente, giacché non ci è ancora concesso) e del libero arbitrio un grande vanto.
Note
[1] Didier Julia (a cura di Vittorio Finocchioli), Dizionario di Filosofia, Gremese Editore, 1989, pp. 143-144
[2] Enciclopedia filosofica Treccani, Libero arbitrio
[3] Quando scegliamo liberamente dimostriamo di essere liberi, in quanto siamo “assenti da costrizioni” e “possiamo fare ciò che vogliamo”, per usare le frasi del dizionario di filosofia da cui abbiamo tratto la definizione.
[4] L’autore fa riferimento ad una frase citata poco prima: «Dì quello che ti pare. Questo è un Paese libero».
[5] Zygmunt Bauman, La Libertà, Castelvecchi, 2019, p. 6
[6] L’autore si riferisce alle due condizioni dell’essere liberi e non esserlo.
[7] In questa frase vediamo la prova di ciò che dicevo sopra (vd. infra: “sebbene però, è in questa capacità che se ne vede la dimostrazione.”), in quanto il sociologo si riferisce al libero arbitrio usandolo come prova della presenza o dell’assenza della libertà.
[8] Zygmunt Bauman, La Libertà, Castelvecchi, 2019, p. 13
[9] Didier Julia (a cura di Vittorio Finocchioli), Dizionario di Filosofia, Gremese Editore, 1989, pp. 243
[10] Oxford Languages, Società, https://www.google.com/search?client=opera-gx&q=società&sourceid=opera&ie=UTF-8&oe=UTF-8
[11] Jeremy Bentham, Panopticon or the Inspection House, 1791
[12] Se qualcuno è persuaso di essere controllato ogni secondo, pur non essendo realmente così, questo qualcuno non agirà contro le regole giacché penserà di essere visto. Lo stesso meccanismo funziona per la religione: il fedele non potrà mai agire in modo peccaminoso, poiché Dio lo guarda sempre, anche quando nessun altro lo guarda.
[13] Michael Foucault, Sorvegliare e punire, nascita della prigione, Einaudi, 2014, p. 214
[14] Edward S Herman e Noam Chomsky, Manifacturing Consent: The Political Economy of the Mass Media, Pantheon Books, 2002, p. 306
[15] Erronea in quanto sopra è stata dimostrata l’erroneità di questa convinzione
[16] Gli “Italiani credenti in una legge di Progresso e di Dovere”
[17] Tratto da: a cura di Rosario Romeo e di Giuseppe Talamo, : Documenti storici, vol. III, L'età contemporanea, Torino, Loescher, 1969, pp. 26-33, cit. in Dizionaripiù, Zanichelli , p.1 https://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/media/docs/0430.pdf