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  • Gabriele De Fino

La Letteratura Come Strumento Formativo e Introspettivo

Aggiornamento: 24 lug

Abstract


L'articolo esplora il ruolo della lettura come strumento formativo e introspettivo. Attraverso l'empatia verso i personaggi e le emozioni evocate, la lettura permette al lettore di esplorare il proprio mondo interno e di sviluppare intelligenza emotiva. L'intelligenza emotiva, insieme all'intelligenza logica, contribuisce a una vita più appagante e a relazioni migliori con gli altri. Inoltre, la lettura offre un'opportunità di introspezione, permettendo ai libri di giudicare il lettore e di mettere in contatto diverse generazioni e culture. Infine, viene esplorato il tema delle contraddizioni e dei conflitti interiori che si possono trovare nella letteratura come specchio della complessità umana.


La Letteratura Come Strumento Formativo e Introspettivo


Nel momento in cui una persona si pone davanti ad un libro, viene stimolata e condotta ad interrogarsi su ciò che sente e ciò che cattura la propria attenzione fin dal primo incontro, preliminare alla lettura, che si ha con quest’ultimo quando, attraverso le varie suggestioni nate dalla trama e dalla copertina, si decide di leggerlo. Addentrandosi nelle storie lette nei libri, il lettore si mette in relazione con diverse emozioni attraverso l’empatia provata nei confronti dei personaggi; quest’ultima non va confusa con la simpatia o la compassione, in quanto è la via per accedere all’intera persona, ovvero l’altro, ed è quindi la condizione di possibilità dei vari sentimenti di simpatia, amore, odio, pietà e comprensione che avviene in un duplice movimento: infatti, come affermato da Laura Boella — filosofa, accademica e traduttrice italiana, professoressa ordinaria di filosofia morale presso l’Università degli Studi di Milano — chi empatizza va dentro qualcosa, facendosi penetrare dalle caratteristiche dell’oggetto. La persona, perciò, inizialmente elaborerà i propri giudizi, le proprie autocritiche, le proprie paure, mentre comincerà a dialogare con il proprio mondo interno identificando le sensazioni ed emozioni suscitate dal libro. Leslie Jamison, scrittrice e saggista americana, suggerisce l’immagine di un viaggio in un paese straniero per descrivere un rapporto empatico di una persona nei confronti di un’altra: chi lo compie deve informarsi su quest’ultimo, passare la frontiera, esibire dei documenti e quindi abbandonare la propria patria senza però prendere possesso del territorio straniero poiché è chi compie il viaggio ad essere estraneo. Allo stesso modo troveremo il viaggio nella lettura, dove sarà, però, una simulazione in cui la finzione narrativa consentirà di vivere esperienze forti, corrispondenti a quelle che avremmo provato nella realtà. A sostegno di ciò, le recenti scoperte sui neuroni specchio — alla base del funzionamento dell’empatia — hanno dimostrato come si attivino gli stessi circuiti neurali che si attiverebbero se l’azione fosse compiuta in prima persona, alla lettura. Questa, dunque, incide sulla personalità in formazione e sull’intelligenza emotiva. A prima vista sembra quasi paradossale abbinare l’emotività e la razionalità, eppure queste caratteristiche non sono in contrapposizione fra loro: un uso intelligente delle emozioni non solo è possibile, ma è anche auspicabile per vivere meglio il rapporto con sé stessi e con gli altri; inoltre, come afferma Alessandro de Concini, basandosi su 17 studi scientifici condotti dal 2003 al 2020, l’intelligenza emotiva (QE) va di pari passo con l’intelligenza logica (QI), presentando caratteristiche trasversali come la capacità di espressione e l’autocontrollo. Questo termine viene attribuito al suo massimo divulgatore Daniel Goleman, il quale rese popolare il concetto di intelligenza emotiva nel 1994, dopo la pubblicazione del libro intitolato: Intelligenza Emotiva, che cos’è e perché può renderci felici. Egli afferma che l’intelligenza emotiva si basa su tre abilità fondamentali: l’autoconsapevolezza, l’autocontrollo e l’empatia, e due competenze; una personale, data dalla consapevolezza e dalla padronanza di sé, e dalla propria motivazione perlopiù sociale, determinata dal modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri, attraverso la base di questa competenza è costituita dell’empatia e dalle abilità sociali intese come la capacità di saper guidare le emozioni di un’altra persona e trarre vantaggio dall’influenza reciproca relativa agli stati d’animo. Prima di lui avevano parlato di intelligenza emotiva Peter Salovey e John D. Mayer, secondo i quali questa è la capacità di elaborare e utilizzare le informazioni estrapolate dalle proprie emozioni e quelle altrui come guida per il pensiero ed il comportamento: le persone con spiccata intelligenza emotiva ascoltano, utilizzano, comprendono e gestiscono le emozioni attraverso quattro abilità:


· La prima abilità dell’intelligenza emotiva è l’identificazione delle proprie emozioni e di quelle altrui, per cui il soggetto deve essere in grado di capire ogni tipo di emozioni e i pensieri ed acquisire la capacità di esprimere correttamente le proprie emozioni e bisogni imparando anche a distinguere tra espressioni appropriate e inappropriate delle emozioni altrui.


· La seconda prevede l’utilizzo dei propri sentimenti che, nel momento in cui sono percepiti con sufficiente intensità per poter essere identificabili, possono essere utilizzati per prendere una decisione, o, se più emozioni fanno fluttuare la persona da uno stato emotivo all’altro, permettono di considerare diversi punti di vista su un argomento, portando comunque a decisioni migliori e a pensare in modo più creativo


· La terza, una volta acquisita la capacità di distinguere un’emozione dall’altra e di usare le parole adatte per descriverle, riguarda il riconoscimento la relazione tra le parole e le emozioni, anche di quelle più complesse


· La quarta, dopo aver appreso la capacità di studiare le emozioni in relazione a se stessa e agli altri in funzione di quanto influenti, è relativa alla gestione delle proprie emozioni e quelle altrui moderando quelle negative e mantenendo quelle positive.


Tornando, invece, al ruolo introspettivo della lettura affermato a inizio articolo, quando si legge un libro, bisogna porsi in modo tale che siano i libri a giudicare il lettore, non il contrario: nei libri l’introspezione è trasversale perché non è presente solo in un genere di romanzi, l’esame interiore è insito nella natura umana e imperituro nel tempo; i libri hanno un valore che lega passato e presente che non si basa sulle recensioni (il giudizio degli uomini sui libri) ma sul fatto che quest’ultimi mettono in contatto tutto ciò che è oggetto della natura umana: come affermato da Dostoevskij nel libro Memorie dal sottosuolo:


“La ragione è una buona cosa, questo è indubbio, ma la ragione è solo ragione e soddisfa soltanto la facoltà raziocinante dell’uomo, mentre la volontà è manifestazione di tutta la vita, cioè di tutta la vita umana, sia con la ragione che con tutti i pruriti. […] Che cosa sa la ragione? La ragione sa solo quel che ha fatto in tempo a conoscere (altro, forse, non saprà mai; anche se non è consolante, perché nasconderlo?), mentre la natura umana agisce tutta intera, con tutto ciò che vi è in essa, in modo cosciente e inconscio, e magari mente, ma vive”


Per questo motivo i libri e la loro funzione d’introspezione perdurano nel tempo. È la natura umana a permetterglielo, accomunando gente molto diversa tra loro per epoca, pensiero, sul piano auto conoscitivo, una questione esistenziale. I libri rimangono all’infinito, esprimono idee intime, profonde e strutturali; non sono l’opinione e le recensioni date dall’uomo al libro a dare il valore dell’opera, ma i giudizi dati dal libro all’uomo. Come affermato da un personaggio del libro L’ombra del vento di Zafòn, “I libri sono specchi: riflettono ciò che abbiamo dentro”… e realizzare ciò che abbiamo dentro è dissestante; quando Petrarca, come espresso in una sua lettera, salì sul Monte Ventoso assieme al fratello Gherardo, si comporterà in modo diverso con lui all’arrivo della fatica:: Gherardo cerca la via più diretta anche se impervia mentre Francesco, al contrario, spera di trovare un sentiero più agevole, che fosse magari più lungo ma più lento portandolo a girovagare, a perdere spesso la via e arriva alla meta stremato dalla fatica mentre il fratello ha avuto tutto il tempo per riposare. Petrarca si sofferma quindi a riflettere sulle analogie di questa esperienza con la sua vita. È certamente consapevole del suo desiderio di raggiungere la perfezione spirituale, questa è la sua meta, ma con facilità si lascia distogliere, si dibatte e si sente ancora legato a passioni terrene di cui si sforza di liberarsi.


«Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo ma meno; ecco ho mentito di nuovo: lo amo ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, […] nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza».


Queste sono le contraddizioni dell’animo, le confessioni del dissidio interiore che troviamo nel Rerum Vulgarium Fragmenta.

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