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  • Immagine del redattoreLeonardo Apollonio

Il Problema del Pensiero

Aggiornamento: 11 apr

Introduzione

Questo articolo è stato scritto per la prima volta nel luglio 2022 da Leonardo Apollonio. Da qui nacque tutto il progetto, prima di quello che doveva essere Kronos (una rivista con lo stesso scopo di questo sito) e, successivamente, di tutto ciò. Nacque tutto da qui, da questo problema, da Il problema del pensiero. E dunque è giusto che questo articolo sia letto come un manifesto, come l'espressione e la spiegazione del perché è nato ilSofista. Non va dunque letto come un articolo di filosofia, aspettandosi lo stesso rigore e gli stessi contenuti, ma più come un pamphlet, un reso conto del sentimento da cui tutto ciò è nato.


Si ringraziano tutte le persone che hanno creduto sin dall'inizio in questo progetto, prima in Kronos e successivamente ne ilSofista.


L'Articolo

1. Il mondo sta cadendo a pezzi. C’è da dire che il mondo è sempre andato cadendo a pezzi; poi, ogni tanto (più ogni che tanto), è andato rialzandosi. Ma io vivo nella mia epoca ed i problemi del passato sono passati, ciò che ora urge sono i problemi del presente - probabilmente simili a quelli del passato e probabilmente causati dal passato.

“Qual è il problema del mondo?” Ma che volete che vi dica? Se credete che di problema ce ne sia uno solo, allora voi siete proprio l’ottimismo fatto persona. Punto primo bisogna capire su che piano si parla: politico? Morale ed etico? Psicologico? Sociologico? Poi, per esempio, se si parla di politica, politica in quale continente? In quale stato? In quale regione dello stato? No, di problemi ce ne sono troppi. Il problema, se si volesse essere semplicisti e soprattutto assolutisti, si potrebbe dire sia il mondo intero. Sì, se voi mi chiedeste qual è il problema del mondo io potrei rispondervi solo così: «Il problema del mondo è il mondo stesso.» Se mi si chiedesse qual è il problema dell’uomo, risponderei: «Il problema dell’uomo è l’uomo stesso» E se mi si chiedesse qual è il problema della società dovrei rispondervi dicendo: «Il problema della società è la società stessa.» Ma se si va per generalizzazioni, nozioni semplicistiche e elementi relativi semplificati portandoli in termini assoluti, dove si pretende di arrivare? Se vi sono così tanti problemi, allora bisogna incominciare a prenderli uno ad uno ed esaminarli, riflettervi e risolverli. Star qui, seduti al bar con la sigaretta in mano a dire che il mondo è andato in malora, che le cose vanno sempre peggio, a poco serve se non ad avvelenarsi l’animo, che già ci pensa da solo ad avvelenarsi. Forse uno dei problemi è l’assenza di pensiero, un altro la rassegnazione ed un altro ancora la pigrizia.

Il fatto è che per risolvere un problema bisogna pensare al problema, ma il pensiero da tempo ha perso il fascino all’interno della società (e anche, in alcuni casi, all’interno di noi) . La praticità è ciò che conta; ma ogni cosa pratica viene da una cosa teorica, ogni cosa concreta viene da qualcosa di astratto. Anche noi nasciamo da un pensiero, che sia un pensiero puramente libidinoso oppure un pensiero d’amore e desiderio dei nostri genitori, sempre pensiero è. Il pensiero crea il creato ed il creato sarebbe increato se il pensiero smettesse di lavorare. Il mondo al giorno d’oggi guarda a ciò che vede, ed il mondo oggi vede solo il concreto, il tangibile; non vede l’astratto, non vede l’idea, non vede altro che il prodotto. Il pensiero non è né bello né fascinoso, la purezza d’un idea s’è tramuta in inutilità. Prima il lavoro del pensiero era il massimo a cui aspirare, ora è il lavoro dei poracci - mi si passi il termine -. La ricerca? A che serve la ricerca? qui ci servono soldi per altro, sa! Ci servono cose per i problemi veri! Fateveli bastare i soldi che avete, che c’è la crisi!

L’immanente è ciò che conta, l’astrazione è futile, le ideologie ormai sono cose mitologiche: nessuno ne produce di nuove, al massimo apporta modifiche tutt’altro che originali a quelle vecchie, e, messi da parte quei pochi che guardano alle vecchie, gli altri non ne possiedono neppure una. E che cos’è d’altronde un’ideologia? Mi fa guadagnare? Mi porta il cibo in tavola? Mi nobilita socialmente? No? E allora che me ne faccio d’un ideologia; non mi serve e non la voglio. Tienila tu, che ti piacciono queste cose così strane, così filosofeggianti. Eh già, che ormai il filosofo è stravagante, ormai il filosofo non è altro che un pesante, un complesso, un noioso; e che me ne faccio della filosofia io? A me serve il mindset (che poi altro non è che la più pratica e immediata applicazione della filosofia), a me serve una strategia (che altro non è che una filosofia, un pensiero, applicato su un piano più pratico e in una situazione definita), a me serve altro, che me ne faccio della filosofia? Che poi la filosofia cos’è? Sono pensieri, congetture, essere, non-essere, ma che me ne faccio io di queste cose, eh? A me serve altro! E infatti cos’altro è la filosofia se non il pensiero nella sua più profonda essenza? Cos’altro è la filosofia se non congetture, se non la creazione, l’esame, la correzione, la definizione di concetti nuovi e vecchi? Ma il fatto è proprio questo, che senza le congetture, senza il concetto, senza il pensiero, che teoria si può avere? E senza teoria da cosa nascerebbe la pratica?

Ma sì, che volete che sia, il pensiero ormai è cosa passata. Guarda che ora mica è come prima eh, ora ci stanno i problemi quelli veri; questi qui, questi problemi dei filosofi, problemi del pensiero, sono cose vecchie, sà. Ma sì, a me serve che si risolvano i problemi veri! E quali sarebbero questi veri problemi che si possono affrontare senza pensiero, senza ideologia, senza filosofia? Ma il mondo ancora davvero non l’ha capito che nulla si può fare senza pensiero, che nulla si può dire senza ideologia? “C’è chi la pensa così e chi la pensa colà.” Si diceva prima, ora si dice “C’è chi pensa e chi no.” Un’escalation in uno stato brado di cose viventi ma non pensanti. Gli animali non pensano, i vegetali non pensano, gli uomini hanno sempre pensato; hanno pensato cose buone e cose cattive, cose giuste e cose sbagliate, ma hanno sempre pensato; fino ad ora. Il pensiero ci distingue dagli animali, ma il pensiero ormai è stato abbandonato a se stesso e con lui coloro che del pensiero si curano; e dunque ora cosa ci distingue dagli animali? Dalle scimmie?

Ma io lavoro sempre, mica ho tempo di pensare! E quando torno a casa sono stanco. Che posso mettermi a pensare ai problemi? Posso mettermi mica a pensare? Fatemi svagare e riposare. E dunque non si pensa più.

Questo è il fatto: si è verificato il più grande paradosso, la pratica ha soppiantato la teoria, la pratica ha superato il pensiero. Il due ha superato l’uno.



2. Per risolvere i problemi bisogna pensare e per pensare bisogna eliminare questa ridicola svalorizzazione del pensiero e della filosofia. Bisogna, direi, cambiare la visione di metodo.

Il metodo in uso è il metodo pratico, il metodo del tangibile, il metodo del risultato, dell’immediatezza; quello che dovrebbe essere in uso quando ci si confronta contro un problema è invece quello che non abolisce la pratica, ma la considera il passo finale e che antepone ad essa l’analisi, la riflessione, l’elaborazione d’un pensiero, la definizione d’esso e la postulazione d’una teoria e d’una strategia. Ma, in un mondo e in un tempo in cui l’uomo ha svalorizzato il pensiero, un simile metodo non è solo inapplicabile, è addirittura inconsiderabile. No, ciò che serve ancor prima del cambio di metodo è un cambio di visione. Ora il secondo paradosso: risolvere il problema del metodo di pensiero senza il metodo del pensiero.

Mi prenderò l’onere di provare io a trovare un modo per risolvere questo problema, non per presunzione o arroganza, ma per pura e semplice volontà e senso del dovere. D’altronde definire arrogante colui che prende con sorriso l’impegno di risolvere un problema sarebbe da stolti.

Dunque, per prima cosa, io definirei il problema:


Atrofizzazione tendente all’eliminazione totale del pensiero all’interno della società contemporanea e dell’uomo stesso.


In secondo luogo ne ricercherei le cause, almeno le principali:


Cause (principali e generali) del problema:

  1. Privazione del fascino del pensiero;

  2. Difficoltà di pensiero e disabitudine al pensiero;

  3. Ignoranza e analfabetismo;

  4. Identificazione del pensiero nella pesantezza e noia;

  5. Mutamento della natura umana in consumatore e non pensatore

  6. Indottrinamento sociale finalizzato all’eliminazione del pensiero;

  7. Assenza d’informazione;

  8. Incoraggiamento all’ozio intellettuale;

  9. Rassegnazione alla supremazia intellettuale del passato;

  10. Assenza di voglia;

  11. Sfiducia nelle proprie possibilità;

  12. Mancanza di metodo;

  13. Convinzione della futilità del pensiero;

  14. Paradossale esaltazione, svalorizzante rispetto al pensiero, del suo opposto.


Per terza cosa io analizzerei singolarmente ogni causa. Con più precisione cercherei la fascia della società nella quale essa è maggiormente diffusa, cercherei di trovarvi una o più soluzioni per limitarla e verificherei che le soluzioni da me trovate per risolverla siano applicabili e abbastanza efficaci da eliminarla. Applicherei questo procedimento a ciascuna delle quindici cause fino ad arrivare ad aver eliminato qualsiasi causa al problema.

Una volta eliminate le cause verificherei che il problema sia effettivamente risolto e nel caso in cui il problema persista ricomincerei il processo da capo.

Dunque, riassumendo, il metodo che applicherei per risolvere il problema è composto in varie fasi, le seguenti:


Metodo di risoluzione:

  1. Definizione del problema;

  2. Individuazione delle cause;

  3. Analisi delle cause singolarmente;

  4. Risoluzione delle cause;

  5. Verifica della risoluzione del problema;

  6. Eventuale seconda applicazione del metodo.



3 Ora che ho definito le cause occorre analizzarle. Si prenda dunque la causa n˚1 e si cerchi di comprenderla.

Causa n˚1: Privazione del fascino del pensiero. Nella società d’oggi il pensare non affascina più e così neppure il prodotto del pensiero. Il libro ha perso il suo fascino, è diventato qualcosa da vecchi, qualcosa d'altro tempo; si legge per moda e farsi vanto di leggere, ma ormai il leggere come forma di riflessione ha perso il suo valore. Le discussioni su argomenti intellettuali si sono tramute in puerili litigi da bar, discorsi sostenuti con frivole argomentazioni frutto di un ozioso pensiero. L’intellettuale è diventato un essere mitologico, una leggenda proveniente dal passato. Questa figura mitica nella società contemporanea non ha posto: chi è l’intellettuale ormai? La forma che più si avvicina alla figura dell’intellettuale è la figura dell’artista; uno scrittore, un regista, un drammaturgo, un cantautore, questi sono gli intellettuali d’oggi (che, tuttavia, non sono intellettuali, ma artisti). La professione di intellettuale non esiste più, l’intellettualità ormai è lasciata a pane ed acqua e catalogata come antica pesantezza, come un retaggio di tempi antichi, come antiquariato, quasi archeologia d’una specie estinta. Sì l’intellettuale è il dinosauro contemporaneo. L’intellettuale si è estinto, la causa: il meteorite della contemporaneità odierna, della modernizzazione del mondo; e che modernizzazione! Una modernizzazione amodernizzante, un progresso involutivo, una contemporaneità che tende al futuro ritornando al passato. L’intellettuale è stato privato del suo fascino, l’intellettualità tutta è stata privata del proprio fascino.

Tutto ciò scaturisce da un’esaltazione dell’ozio e da una negativizzazione della produttività teorica, mentale; intellettuale per l’appunto. La produzione di teorie e ideologie, di concetti, idee e opinioni è cosa futile, non porta contributo alcuno alla società. Il pensiero è qualcosa di pesante, noioso, le conversazioni impegnative sono troppo impegnative, il cervello vuole l’ozio, il riposo, non il lavoro; colui che pensa è noioso perché rimugina nei problemi. Ecco il problema: pensare ai problemi è divenuto sinonimo di rimuginare su di essi, è negatività mentale e la negatività mentale va estirpata perché porta via la positività e l’allegria; la negatività mentale è pessimismo e il pessimismo priva della felicità, va estirpato! E dunque estirpiamo il pensiero! Se non si pensa ai problemi i problemi non ci sono, se non si pensa al brutto il brutto non esiste. Queto processo è in sostanza lo stesso di quello d’un bambino: il bambino terrorizzato dal mostro si copre gli occhi per non vederlo ed illudersi che non esista, e così noi chiudiamo il pensiero per non vedere i problemi ed illuderci che non esistano; ma v’è un problema in tutto ciò, una falla in questo ragionamento: il mostro visto dal bambino non esiste, è solo un illusione ottica del buio, i nostri problemi esistono. Eppure nonostante ciò, continuiamo ad evitarli a snellirci ed oziare, ad annacquare la vita con sciocchezze e vacuità che non hanno valore alcuno se non quello di non richiedere alcun tipo di pensiero. Volontariamente ci trasformiamo in amebe, perché forse noi abbiamo bisogno d’essere amebe, forse perché lo siamo già o forse perché abbiamo perso consapevolezza di ciò che vuol dire esserlo. Nessuno si chiede più niente e, se ci fosse qualcuno, sicuramente nessuno saprebbe rispondergli.

E perché nessuno si chiede niente? Perché nessuno da importanza a niente. Secondo paradosso: la vacuità ha assunto più importanza della profondità, la sciocchezza ha più fascino dell’importanza e dell’impegno.

Viviamo nell’epoca dei paradossi in cui tutto si ribalta, tendendo al giusto, ma spesso volgendo involontariamente lo sguardo allo sbagliato. Si esagera e si trascura. Un mondo fatto di eufemismi e paradossi e di nessuna cosa che sia in misura uguale alla realtà dei fatti.

I pochi che pensano sono calpestati da demagoghi populisti che sui social o per strada si divertono ad esprimere elementari e sciocche opinioni, che hanno il fascino della saggezza – magari fosse vera saggezza - fuso con quello della semplicità. E quei pochi pensatori ed intellettuali che riescono ancora a spiccare, seppur con fatica e in ambienti elitari, vengono sommersi da bocche che hanno bisogno d’aria e che si divertono a usare le parole come fossero prive di potere e significato. E qui l’intellettuale rivela la debolezza che quest’epoca così evoluta gli ha donato: la paura del giudizio della massa, la paura del pensiero di coloro che non pensano, la paura delle argomentazioni di chi non ne ha. Terzo paradosso: un tempo si temevano gli intellettuali per la capacità di opporsi al potere, ora gli intellettuali temono i non-pensatori per la loro capacità di sopprimere il pensiero e la razionalità.

Ecco un altro punto: la razionalità. Che fine ha fatto la razionalità? Dov’è finita? Sommersa dal nonsense di una quotidianità monotona e vacua che sopprime il pensiero, dal consumismo che innesta il bisogno dove non c'è e atrofizza la capacità di pensare, dal potere mediatico che, come scrisse Chomsky in uno dei suoi saggi più famosi, innesta il bisogno di ozio e ci porta lontano dal criticismo; il pensiero soppresso non riesce ad opporsi all’istinto umano che prevale. Ed ecco la magia: il pensiero soppresso porta al comando dell’istinto e il comando dell’istinto porta alla soppressione della razionalità e all’esaltazione dell’impulsività. Quarto paradosso: nell’epoca dell’evoluzione si è manifestato il processo tipico dell’involuzione, l’istinto che prevale sulla razionalità.

L’uomo non si riconosce dunque più nel ruolo di pensatore, di intellettuale, di creatore o di rivoluzionatore. Ci siamo alienati dal pensiero e drogati del bisogno. Ci siamo disconosciuti.

Ecco dunque l’analisi finale della causa n°1 del problema: il pensiero non ha più fascino perché il fascino non esiste più. Il fascino è una qualità di bellezza sublime e raffinata che ormai l’uomo ha smesso di apprezzare. Ormai v’è solo la bellezza rozza della superficialità, della vacuità, dell’ozio. Il pensiero ha perso fascino perché lo sforzo ha perso il fascino, mentre l’ozio ha acquisito tutta la bellezza che in questo mondo è possibile acquisire. Nessuno vuole più sforzarsi, nessuno vuole più impegnarsi. Il riposo ormai domina il mondo e, se non esso, il desiderio di esso.

Infine, il pensiero ha perso il fascino perché il pensiero ormai è considerato cosa d’altro tempo, qualcosa di passato e superato. Ora ciò che ci domina è la voglia, l’istinto, l’irrazionalità, l’ozio ed il consumo. Queste cose governano l’uomo sopprimendo il pensiero, e l’uomo è passato da dominatore a dominato, da padrone del mondo a schiavo inconsapevole di se stesso.



4. Ora che ho analizzato la causa sono giunto al punto più critico di questo punto del procedimento: trovare un rimedio ad essa.

Bisogna prima di tutto individuare i punti critici della nostra analisi e successivamente trovare un modo di rimediare a ciascuno di essi.

L’uomo deve tornare a riconoscersi nella definizione di pensatore e per fare ciò deve prima di tutto smettere di ripudiare lo sforzo. Deve cambiare radicalmente la visione del mondo e della vita stessa che ha assunto. Vivere per sopravvivere non va bene e vivere per riposare neppure. La vita non è un attesa né una lotta per la sopravvivenza. Bisogna reinserire il concetto di passioni nella menti dei giovani che ne sono ormai sgombre, perché la passione è stata soppiantata dalla voglia di fama, di soldi e di sazietà. Bisogna innestare nelle menti la voglia d’una sazietà esistenziale. Ci vuole ambizione e passione, l’apatia esistenziale e la vacuità della vita annientano qualsiasi possibilità di miglioramento.

Vivere la vita in modo passivo come consumatori, automi in attesa delle ferie, non fa altro che uccidere l’uomo.

Che si creino nuove figure di riferimento e che quelle figure di riferimento si rifacciano all’uomo pensatore, all’uomo creatore, all’uomo rivoluzionatore. Bisogna promuovere il pensiero critico e la creatività così come l’amore per la conoscenza e la scoperta. Va modificata l’istruzione che non fa che annientare tutto ciò.

Il pensiero critico è soppresso da un insegnamento nozionistico, da verifiche che si limitano a verificare la memoria e da una valutazione della persona basata su un numero da uno a dieci scritto con penna su un foglio (anzi inserito in un database elettronico premendo un tasto). L’istruzione deve essere la prima promotrice dello sviluppo di un’innovazione e di una crescita del pensiero, mentre ora ne è la prima nemica. Si insegna ad essere dei nostalgici del passato e si insegna a vivere la conoscenza non come una passione, ma come una prova che stabilirà il tuo futuro. Sei un otto o un cinque? A dirlo non sarà la tua intelligenza, ma la tua capacità di ricordare quando è nato d’Annunzio. La scuola non insegna più a creare, ma a ricordare. Lo studente non inventa più nulla, né dibatte, studia, ricorda, ripete, dimentica e alla fine riceverà un numero che indica il suo futuro e le sue capacità.

Bisogna promuovere un metodo d’insegnamento che stimoli la creatività, il pensiero critico, la riflessione, l’immaginazione e la fantasia che invece vengono annientate a scuola. Bisogna educarli a pensare e a riflettere tanto quanto li si insegna a ricordare e a studiare. Un approccio dogmatico all’insegnamento in cui il professore dice e gli alunni ascoltano, il professore sa, ha ragione, e asserisce e gli alunni, che non sanno, ascoltano e apprendono è quanto di più sbagliato si possa fare. Distrugge il pensiero critico, la riflessione e il dibattito. Bisognerebbe avere un istruzione in cui vi sia modo di riflettere, dibattere, analizzare, creare, produrre; un’istruzione che non deve tramandare nozioni e conoscenze a menti giovani, bensì istruirle a pensare a creare a produrre. La scuola dev’essere educatrice del pensiero e dell’immaginazione, prima d’essere un libro di testo che insegna date e formule.

Una volta rivoluzionata l’istruzione da nozionistica e dogmatica a riflessiva e progressista bisogna rivoluzionare il futuro, incentivando la ricerca, la creazione invece che le imprese, i lavori d’ufficio e gli impieghi in fabbriche. Bisognerebbe aprire le porte della creazione, dell’arte, della riflessione e della ricerca. Creare luoghi di cultura e circoli che stimolino la produzione artistica. Bisogna reinventarsi l’arte che è ad un punto morto tanto quanto la cultura, bisogna creare di nuovo dell’arte che ispiri le menti e bisogna educare le menti all’arte di modo che la possano apprezzare en possano essere ammaliati ed ispirati. Dovrebbe essere promossa l’arte pura, vera quella che ora è un’arte elitaria, di nicchia; il commercio che ora disgusta quest’arte che è l’arte par excellance dovrebbe invece promuoverla invece di sopprimerla facendola scavalcare da quella commerciale, che vende. Ciò va contro il profitto ed il profitto muove il commercio, ma l’arte è al di sopra del profitto ed è più utile della scadente arte profittevole.

Bisogna creare una società in cui la cultura e la passione acquisita da giovani a scuola, non vada persa e dimenticata per farsi venire la gobba davanti ad un computer fossilizzati su una sedia d’ufficio in attesa della pensione.

Bisogna creare speranza d’un futuro concreto per far venire voglia di vivere, di creare e produrre. Bisogna dare opportunità concrete ai giovani invece di terrorizzarli con certe incertezze che annientano la prospettiva d’un futuro e gli fanno ammirare solo un ignoto oscuro di fronte a loro. Viviamo in una società che si dice meritocratica, ma che è più profittocratica. Oggi il profitto di qualcosa vale più della sua belezza o della sua abilità. Bisognerebbe avere un modello di società abilitocratica, in cui è l’abilità e la sapienza, l’intelligenza, la ragione ha contare più del guadagno e del profitto. In una società dove l’abilità e l’intelligenza sono premiate e apprezzate la produttività artistica e intellettuale crescerebbe in modo esponenziale. Bisognerebbe annientare la visione del profitto come prima necessità, come primo obbiettivo, e invece mettere al primo posto la creatività e la riflessione. Nel momento in cui il profitto antecede queste due cose e diventa primo bisogno, prima necessità e obbiettivo la riflessione, l’arte e la creatività verranno annientate perché esse non daranno mai più profitto di un qualcosa di commerciale. Tuttavia se l’uomo verrà educato a quest’ultime e imparerà ad apprezzarle allora il profitto e l’arte coincideranno.

Per ovviare al problema del pensiero il sistema d’autorità dev’essere abolito affinché per avere potere, ragione e, per l’appunto, autorità bisognerebbe dimostrare la propria abilità e ciò porterebbe a dover riflettere e apprendere costantemente giacché nulla sarà dato per la propria posizione o ma solo per il diritto e la ragione.

Le figure di riferimento che ora proliferano e abitano il web, i cosiddetti influencer e i moderni artisti dovrebbero essere i primi promotori del pensiero, della creatività e della riflessione; mentre ora si crogiolano nella commercialità, nella mediocrità e nella fama educando le masse al fascino di queste cose che altro non fanno che annientare il resto. Essi dovrebbero invece rappresentare dei modelli di pensatori, creatori, rivoluzionatori e intellettuali così da stimolare il fascino di queste cose nelle masse; cose che ormai stanno abbandonando anche l’elitaria società degli intellettuali, ormai specie in estinzione.

Bisogna sfruttare le giovani menti che sono nel fiore delle capacità affinché incentivino la produttività e il progressismo, giacché facendo sempre riferimento sulle vecchie generazioni non si progredirà mai in avanti, ma si resterà sempre ancorati ad una mentalità sempre più in declino e anacronistica. Il tempo del passato deve giungere al tramonto e si deve assistere ad un’alba del futuro.

Infine bisogna annientare questo complesso di inferiorità rispetto al passato e questa nostalgia di esso. Questo atteggiamento di rivolgersi al passato, guardando alle vecchie dottrine, alle vecchie ideologie va demolito da cima a fondo e sostituito da un atteggiamento d’impazienza verso il futuro, da un atteggiamento di progressismo che porti a ricercare, a creare e produrre nuove idee, concetti, ideologie e teorie.

Una volta creato il fascino nelle masse per il pensiero, tramite una rivoluzione nell’istruzione, un cambio delle figure di riferimento, dell’impostazione sociale e della visione del merito, allora bisognerà creare impieghi e luoghi in cui questo fascino non vada perso. Bisognerà finanziare la ricerca e l’arte più che il commercio, bisognerà creare luoghi in cui si possano coltivare le passioni e luoghi in cui discutere e dibattere per sviluppare il pensiero critico.

Bisognerà fare in modo che questo fascino non si perda nuovamente nell’ordinarietà delle giornate, bisognerà trovare un modo di preservare tutto ciò negli anni a venire così da non ricadere di nuovo nella trappola in cui ci ritroviamo ora.



5. Una volta analizzata la prima causa si deve trovare una soluzione ad essa e dopodiché bisogna passare alla causa successiva e poi a quella dopo ancora e dopo quella a quella ancora dopo, finché non si esauriscono le cause. Poi bisogna applicare le soluzioni e i cambiamenti proposti e verificarne l’esito.

Io ho analizzato la prima causa e vi ho proposto cambiamenti e strategie per ovviare al problema. Ora tocca a voi provare ad analizzare le successive cause e cercare di ovviare ad esse.







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