- Giovanni Papetti
Il peccato di Bones and All - Recensione Filosofica
Aggiornamento: 15 giu
Il peccato di Bones and All
Tra i film usciti nell'anno scorso proposti dall’industria culturale, oltre alle Vele Scarlatte di Marcello (forse un capolavoro), troviamo che il più interessante sia Bones and All di Luca Guadagnino (lontano da poter esser definito capolavoro, ma certamente interessante). La trama segue gli schemi della storia d'amore "on the road", prendendo come modelli narrativi Bonnie and Clyde di Penn e Badlands di Malick, che a loro volta prendevano come modello letterario Manon Lescaut di Prevost. Nel film troviamo due giovani cannibali in fuga nell'america Reganiana incapaci di integrarsi in una societa’ che non li accetta. Attraversando varie peripezie i due personaggi principali cercano invano di non lasciarsi sovrastare dai loro istinti carnivori e a convivere con la loro pulsione verso il cannibalismo, incontrando per la strada una sorta di setta che invece si è "lasciata andare". Questo film è stato visto con due chiavi di lettura entrambe pessimistiche: la prima, una storia sulla mostruosità del capitalismo americano degli anni '80 e delle sue caratteristiche appunto cannibalesche. La seconda, molto più stimolante, è che il film sia una parabola filosofica sull'Hobesiano "Homo homini lupus". Guadagnino racconta come i protagonisti (l'uomo) sono per natura cannibali, e pur cercando in vano di sfuggire da queste loro pulsioni animali attraverso il viaggio (la vita) sono destinati tragicamente a essere vittime dei loro istinti. Questa pellicola pessimistica e barocca, ci mostra dunque il pensiero tipico dell'estetica contemporanea e dunque questo periodo storico: un pessimismo antropologico borghese che nel cinema ricorda Kubrick più che Bresson. Il problema del film per noi non è tanto quello filosofico quanto uno di natura estetica: Guadagnino pur cercando di attuare un discorso sulla condizione umana vuole troppo lo scandalo, vuole stupire lo spettatore, la shock value come dicono in America. La pellicola non è sobria e contemplativa come crede, non trova il giusto equilibrio tra il grottesco della trama e se si può dire l'analisi filosofica. Inoltre troviamo che un difetto del film sia una di natura “storica”: dato questo periodo e la cultura dominante, il film inconsapevolmente esalta una visione moderna della gioventù in senso narcisistico, d’un individualismo tipico dell’età dei social e della comunicazione di massa. Mentre Bonnie and Clyde mostrava una coppia di innamorati puerili in fuga, Bones and All ritrae due ragazzi che più che personaggi, sono archetipi del “ribelle di massa”, che trasgrediscono secondo il conformismo americano. Guadagnino “cade” in questa trappola in modo simile all’ultimo Bertolucci: la sua vocazione cosmopolita lo rende troppo concessivo al “mainstream”, e quindi all’ideologia dominante. Tuttavia, la peculiarità di Guadagnino, è che appunto è un autore, non un regista. Oggi di autori, come è già stato detto da tanti critici, ce ne sono ben pochi, e Guadagnino per quanto sopravvalutato è tra questi. Eppure non lo intendiamo necessariamente come lode: qui troviamo tutte le caratteristiche d’un autore (la personalità, l’indole, la moralità, lo sguardo, il pensiero), un autore che però non ci sta simpatico. Truffaut citando Giraudoux scriveva “non ci sono opere, ci sono solo autori”: e se aveva ragione, il peccato originale di quest’opera è proprio l’autore.