Leonardo Apollonio
Identità Liquida: Transgender, Queer e Liquidità Baumaniana
ABSTRACT
Se da una parte abbiamo poca libertà, forse alcuna, da un’altra abbiamo quella che venne chiamata da Bauman “liquidità”. Un costante cambiamento e abbattimento delle barriere che, in una misura più superficiale, più conscia e più appannaggio di un campo nominale, crea libertà.
I cambiamenti sociali rispetto alle questioni della sessualità e dell’identità si sono evolute e hanno portato ad evolversi la società contemporanea. Se un tempo il «genere» era sinonimo di «sesso», ora la distinzione è ben nota a tutti. Tuttavia un boom di grandezze sorprendenti è esploso all’interno dell’area LGBTQ+, avendo varie spiegazioni, tra cui una normalizzazione del transgenderismo, una minore repressione sociale e individuale del proprio «me», ecc. Ma sono solo queste le ragioni?
Analizzando il concetto di identità, ripercorrendo l’antropologia dei sessi, approcciando all’idea di genere e transgender, e eseguendo un’analisi sociale del libertarismo identitario che va dilagando con i suoi pro e contro, questo articolo si ripropone di capire il perché di questo boom cercando di capire anche il funzionamento dell'identità stessa e la fenomenologia del genere da un punto di vista filosofico.
INDICE
1. Introduzione
a. Chiarificazione di intenti e scopo dell’articolo
b. Terminologia
2. Approccio al concetto di identità
a. Approccio al concetto di identità: egognosi e idolum aliorum
b. Creazione dell’identità
c. Identità come funzione sociale
3. Il gender: uomo e donna e la loro antropologia
a. Il genere ed il sesso come fattori antropologici
b. L’origine delle differenze gerarchiche tra i sessi
4. Libertarismo identitario e liquidità
a. Libertarismo
b. Liquidità
c. Identità liquida
5. Transgenderismo e queer: oscillazioni identitarie e incapacità di definizione
a. Ripercussioni sociali dell’identità liquida
b. Transgender, transessualità e disforia di genere
c. Concezione moderna di generi e caos della comprensione
d. Oscillazione identitaria e incapacità di definizione: l’Io fichtiano del divenire e la sua difficoltà nell’identità liquida
6. Conclusione
7. Note
8. Bibliografia
INTRODUZIONE
Chiarificazione di intenti e scopo dell’articolo
Nell’attuale contemporaneità il pensiero, nel tentativo di eliminare l’immoralità da esso, è stato soggetto ad una sorta di setacciamento in ogni suo ambito eseguito ad opera di un movimento sociale apprezzato in diverse misure, il cosiddetto politically correct:
“L’espressione angloamericana politically correct (in ital. politicamente corretto) designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone.”[1]
Alcuni sostengono che questo fenomeno sia un necessario orientamento ideologico per vivere in modo, per dirla così, più civile, altri, più moderati, sostengono che, seppur sia iniziato per risolvere un problema effettivamente presente, ha ora raggiunto un livello troppo estremistico arrivando ad essere, per alcuni, addirittura una limitazione della libertà e, per altri, una corrente sociale che ha fatto ricadere in mero e futile buonismo benpensante i buoni propositi su cui si era in origine basato; infine altri ancora sostengono che le origini stesse siano qualcosa di troppo estremo e che tutta l’ideologia in sé di questo movimento sia un’inutile limitazione della libertà di espressione.
L’interesse di questo articolo non è quello di entrare nel merito del politically correct e affrontare la questione del se sia qualcosa di positivo o meno, l’interesse è completamente diverso; tuttavia l’argomento che questo articolo ha l’intento di affrontare è un argomento estremamente spinoso e su cui la società, e specialmente i sostenitori di questo movimento, sono molto sensibili. E’ dunque dovere dell’autore chiarire prima i suoi intenti affinché non si fraintenda, in un estremo uso del politicamente corretto, le volontà di chi scrive e le conclusioni a cui vuole arrivare.
Questo articolo è un’analisi del processo che ha portato la moderna società ad avere un così alto numero di transgender. Si ponga attenzione alle parole della precedente frase: non si è scritto “un’analisi del processo che ha portato la moderna società ad avere dei transgender”, ma si è scritto “un così alto numero”. Ciò vuol dire che l’accento non è sull’esistenza di questo fenomeno identitario (non si prenda il termine “fenomeno identitario” come dispregiativo, ma solo come sterile definizione di ciò che è, ovvero un fenomeno, phenomenon: “something that exists and can be seen, felt, tasted, etc.[2]”[3], che si verifica nell’ambito identitario di una persona), bensì l’accento è sul numero di volte in cui questo fenomeno si presenta:
“Allo stesso tempo si è osservato un aumento nel territorio del numero di cliniche specializzate nell’identità di genere, un incremento degli invii alle cliniche e un aumento in letteratura degli studi sull’identità di genere.[4]”
Tuttavia è importante precisare che, non solo l’accento di questo articolo è sul numero e non sull’esistenza, ma che, proprio come dimostra questo accento, non vi è alcun preconcetto discriminatorio verso nessuno. Questo è un articolo che non ha alcun intento o pregiudizio transfobico al suo fondamento. D’altronde la filosofia non si fa con i preconcetti e con i pregiudizi, ma con l’analisi logica dei fatti.
Chiarito, dunque, che non v’è alcun intento transfobico o discriminatorio dietro queste parole, occorre, per evitare fraintendimenti, definire lo scopo dell’articolo.
Nella nostra società si stanno verificando repentini cambiamenti, senza che vi siano risposte a domande importanti o che si ragioni in modo non solo superficiale sulle cause di essi. Non solo, certamente, i cambiamenti sono entro il mondo del gender e della sessualità e certamente i cambiamenti, che si considerino positivi o meno, non sono solo da imputarsi alla comunità LGBTQ+. Lo scopo dell’articolo e il volere dell’autore dunque sono altri: capire la causa di un sì forte cambiamento nella società in campo identitario e libertario. Gli accenti vengono posti, dunque, su due elementi: quantità e cause.
Terminologia
Lo scopo di questo articolo è dunque capire il perché di questa enorme oscillazione identitaria nella società occidentale del XXI sec.
Bisogna, per arrivare a determinare ciò che l’articolo intende determinare, avere chiare delle nozioni di base per capire di cosa si sta parlando e soprattutto per avere maggiore precisione nell’approcciarsi al problema. Per prima cosa bisogna avere chiaro cosa voglia dire essere una persona transgender, nozione che verrà affrontata più nello specifico successivamente (vd. infra.: Transgenderimo e queer: oscillazioni identitarie e incapacità di definizione): “Chi si identifica in modo transitorio o persistente con un genere diverso da quello assegnato alla nascita; anche come agg.: identità transgender”[5]. In questa stessa definizione però vi sono due altri termini il cui significato è spesso frainteso («genere» e, sottointeso nella definizione, «sesso»). Per approcciarci, dunque, ad una definizione maggiormente precisa di cosa vuol dire «genere» e di cosa vuol dire «sesso», credo che l’aiuto migliore lo possa fornire il gender bread. Il gender bread è un omino stilizzato (liberamente ispirato agli omini di marzapane) che fornisce in maniera schematica una spiegazione di cosa vogliono dire i vari termini ormai di uso comune.
Il «sesso» (“The physical state of being either male, female, or intersex[6]”) dipende dalla biologia, è il sesso biologico. Il sesso, a differenza del genere, non può essere cambiato ed è determinato dall’apparato riproduttore con cui si nasce. Il maschio e la femmina sono i rispettivi termini con cui ci si appella alla versione femminile e alla versione maschile del sesso dell’individuo. Un maschio è l’individuo che fisicamente possiede l’apparato riproduttore maschile, la femmina, viceversa, è l’individuo che possiede l’apparato riproduttore femminile. Il sesso, che per molto tempo (fino agli anni ’60) è stato usato senza differenziarlo dal «genere» è l’elemento d’origine delle varie visioni sociali che identificano l’uomo e la donna e che quindi definisce una società patriarcale o matriarcale e patrilineare o matrilineare e tutte le combinazioni che sono state identificate antropologicamente ed etnologicamente. Tuttavia il sesso non ha nulla a che fare con l’identità e dunque con l’essere. L’essere maschio e l’essere femmina, non sono vincoli all’essere uomo o all’essere donna essendo solo attributi fisici, che, però – va precisato –, hanno necessarie ricadute sulla psicologia della persona. V’è un terzo tipo di sesso, poco conosciuto, ma esistente, l’intersex: “Intersex è un termine ombrello con cui si comprendono tutte quelle variazioni di caratteristiche di sesso genetico/cromosomico, gonadico/ormonale, e/o anatomico (relativo alle caratteristiche sessuali primarie e secondarie) di una persona che non rientrano nelle tipiche nozioni binarie dei corpi considerati femminili o maschili”[7]. Con «intersex» si indicano dunque tutte quelle persone il cui sesso biologico non è né maschile né femminile (e.g. ermafrodito) e che dunque non possono essere definiti né maschi né femmine.
Il «genere» (“Gender refers to the characteristics of women, men, girls and boys that are socially constructed”[8]) è l’identità che l’individuo sente di avere, è l’essere uomo o l’essere donna oppure, ancora, l’essere nessuno e due (i cosiddetti non-binary, in italiano non-binario, ovvero coloro che non si identificano in nessuno dei due generi) oppure, infine, l’essere ambe due (i cosiddetti gender-fluid, in italiano genere fluido, ovvero coloro che si identificano ora in uno ora nell’altro). Il genere è un’identità che, come per il resto delle identità, si costruisce sulla base del costrutto sociale. Ciò, considerando le battaglie che durante gli ultimi anni sono state portate avanti contro la mascolinità tossica, a favore del femminismo, e dunque contro sia il costrutto sociale (occidentalmente parlando, s’intende) della donna sia contro quello dell’uomo, affinché le barriere fra l’essere uomo e l’essere donna fossero distrutte, ha portato ad una privazione sempre maggiore di significato all’interno della società che crea, per alcuni individui, disorientamento, non riuscendo a capire cosa voglia dire il termine «uomo» e il termine «donna», da definizione definiti dai costrutti sociali, ma non considerati più come definiti da essi. Il genere, che è ciò che determina il linguaggio al femminile o al maschile o con termini neutri (quest’ultima opzione non è stata riconosciuta dall’accademia della crusca per quanto riguardo il linguaggio italiano, dunque, ad ora, non può essere usata parlando correttamente in italiano) ed è ciò che determina, come sopradetto, l’«essere uomo», l’«essere donna» e l’«essere neutro», è definito con l’avanzare del tempo e non può essere dedotto dalla nascita in quanto l’identità dell’individuo si forma con l’avanzare del tempo.
L’«espressione del genere» è la manifestazione del nostro genere all’interno degli stati relazionali e all’interno della società. L’espressione, a differenza del sesso e del genere, non è binaria, nel senso che non può essere o una cosa o l’altra, o x o y, ma è una composizione, con ovvie prevalenze, di vari elementi. Le opzioni che compongo l’espressione del genere sono la «mascolinità» (“The characteristics that are traditionally thought to be typical of or suitable for men”[9]) e la «femminilità» (“The fact or quality of having characteristics that are traditionally thought to be typical of or suitable for a woman”[10]) e vengono definite anch’esse dai costrutti sociali della società a cui si appartiene (e.g. nella società occidentale l’essere virile, l’essere forte ecc., oppure, l’essere sensibile, l’essere empatica ecc.). L’espressione del genere si manifesta nelle interazioni sociali e nel comportamento. L’espressione del genere è dunque una manifestazione dell’essere donna o dell’essere uomo o del non essere nessuno dei due e ha una percentuale di mascolinità che nella società occidentale ha all’estremo l’idea comune del cosiddetto macho, del superuomo, e di femminilità che nella società occidentale ha all’estremo l’idea comune della cosiddetta dama. Come si può vedere questi due elementi si basano su stereotipi culturali e sociali dei sessi e proprio perciò non sono vincolanti al genere, nel caso, in cui, infatti l’espressione del genere non è conforme ad esso in un individuo, indipendentemente dal sesso, può essere definita come non conforme. Questo in molti individui, nell’ultimo periodo in cui v’è stata una tentata sensibilizzazione sull’argomento tramite mass-media, social network ed educazione sessuale, ha provocato un disorientamento, non capendo la non conformità dell’espressione del genere al genere nel momento in cui ambe due sono basate sullo stesso concetto: la visione socio-culturale del gender.
L’«attrazione» è composta da due fattori: l’«attrazione sessuale» e l’«attrazione romantica». Quando ci si riferisce alle categorie di «omosessuale», «eterosessuale», «bisessuale», «asessuale» e «pansessuale» ci si rifà ad ambe due i tipi di attrazioni che possono essere coincidenti, ma che non lo sono necessariamente. L’attrazione sessuale, che secondo alcuni è comunque influenzata dal genere e dall’espressione del genere (androfilia per la mascolinità e ginefilia per la femminilità), è il tipo di attrazione che si prova fisicamente verso un altro individuo (e.g. l’essere attratto dal corpo femminile e/o maschile). Mentre l’attrazione romantica non ha nulla a che fare con l’attrazione verso la sessualità, invero anche coloro, come gli asessuali, che non provano quest’ultimo tipo di attrazione spesso provano invece questo tipo, ed è invece determinata dall’attrazione verso il carattere di una persona ed è spesso influenzata dalle attrazioni androfile e ginefile. A determinare, infine, l’essere eterosessuale o omosessuale o pansessuale ecc. è il genere; dunque un individuo di genere uomo che è attratto da un individuo di genere donna è eterosessuale, se invece è attratto da un individuo di genere uomo (dunque del suo stesso genere) è omosessuale, se è invece attratto da ambedue i generi è bisessuale o pansessuale, ecc.
Fatta chiarezza, dunque, sulla terminologia e avendo spiegato i concetti dietro i termini si può approcciare al problema in esame.
APPROCCIO AL CONCETTO DI IDENTITA’
Approccio al concetto di identità: egognosi e idolum aliorum
Guardando alla definizione che il dizionario Cambridge ci fornisce alla parola «identità» si fondono due tipi di identità. Difatti la definizione del dizionario è la seguente: The fact of being, or feeling that you are, a particular type of person, organization, etc.; the qualities that make a person, organization, etc. different from others[11]”[12]. Questa definizione definisce identità come conoscenza del sè, che si è qualcuno di particolare differente da altri. Tuttavia è opportuno fare una distinzione fra la cosiddetta «identità sociale» (“the part of the self-concept that derives from group membership”[13]) e «l’identità personale» (Someone’s personal identity in this sense consists of those properties she takes to “define her as a person” or “make her the person she is”, and which distinguish her from others”[14]). Occorre dunque capire cosa questa distinzione sta a significare e quale delle due intendiamo in questo articolo con il termine «identità».
Quando si parla di identità personale si intende la conoscenza del sé in quanto sé; tuttavia essa è esente da categorie prestabilite. Nel momento in cui ci definiamo attraverso categorie ci inseriamo all’interno di un database sociale, siamo sì noi, anche se non solo, a scegliere le categorie di questo socio-database in cui inserirci tuttavia non siamo noi a scegliere quali categorie sono presenti in esso. Quando si parla di conoscenza del sé, di questo tipo di identità, si parla della intima conoscenza del proprio animo, del proprio essere. La conoscenza personale ci fa «definire come persona» (come ci suggerisce l’enciclopedia filosofica della Stanford University) tuttavia la conoscenza del sé non è organizzata in base a categorie. Se si ponesse uno stato di solitudine, per esempio, senza alcuna relazione, non vi sarebbe alcuna necessità di avere un’identità definita, né sessualmente né professionalmente né altro. Lo scrittore è scrittore in quanto qualcuno lo ha distinto da «altro da scrittore» e ha sentito il bisogno di comprendere chi è scrittore e chi no. Il maschio è maschio nel momento in cui la società, nell’ambito relazionale, ha sentito la necessità di distinguerlo dalla donna. Se un uomo maschio fosse l’unico essere sulla terra non vi sarebbe per lui alcuna necessità di chiamarsi «maschio», ma solo di chiamarsi «me». L’uomo è uomo in quanto non è donna ed è uomo anche in quanto le persone che non sono lui guardano a lui come uomo nelle relazioni sociali. L’identità intesa come categorizzazione e definizione del sé attraverso etichette («uomo», «scrittore», «creativo» ecc.) elude dalla dimensione individuale dell’identità, e sbarca in una dimensione relazionale.
L’identità come autodefinizione di sé è conoscenza del sé. Tuttavia noi conosciamo noi stessi e ci definiamo e sentiamo il bisogno di definirci con etichette non perché è in noi questa necessità, ma perché ragioniamo sull’individuo come la società lo ragiona: attraverso etichette stabilite da relazioni sociali. Se si mettesse un neonato in una stanza da solo e lo facessimo crescere senza alcuna relazione sociale, in lui non vi sarebbe bisogno alcuno di conoscersi tramite etichette, ma solo di conoscersi e alla domanda “chi sei?” lui risponderebbe “sono me”. Non potrebbe neppure rispondere “io sono uomo” perché essa stessa è un’etichetta cui non è stato messo davanti. Se, ora lo si avesse fatto crescere solo insieme ad una donna, le uniche categorie in cui si inserirebbe sarebbero le differenze fisiche “sono me, con diversità da lei”, il concetto di uomo non esisterebbe ancora. Direbbe solo che osservandoli si noterebbe una diversità fisica. Ogni altra differenza sarebbe inclusa in quelle tre parole che sono perfetta definizione del sé: “io sono me.”
Questo tipo di conoscenza è una conoscenza indiscernibile e complessiva, è la conoscenza di una macrocategoria, quella dell’individualità, del «me», che non usa le categorie per definirsi ed analizzarsi, in quanto le categorie fungono da elemento semplificante e schematizzato di cui non v’è bisogno di usufruire nel momento in cui si conosce o si è nel processo di conoscenza del sé. Se si volesse dare un nome al tipo di identità che è questo si potrebbe chiamarla. Egognosi (composto di «ego», dal gr. «Io», e di «gnosis», dal gr. «conoscenza»).
Quello che in inglese è appellato con il pronome sostantivato «The Self»e che in italiano manca di una traduzione effettiva (se non «il sé») è un concetto generale che non fa uso di categorie, in quanto assoluto e dunque indiscernibile, giacché se l’assoluto illimitato fosse confinato all’interno di categorie perderebbe la sua caratteristica di assoluto. Noi, se da soli, non ci conosciamo attraverso le categorie per il semplice fatto che non dobbiamo inserire il concetto di «me» all’interno di una descrizione a parole. Quando le parole devono descrivere usano categorie collegate a concetti, come diceva appunto Ferdinand Saussure su significato e significante in “Corso di Linguistica Generale”, in cui enuncia che il significato (ovvero le parole, i fonemi) è come un contenitore in cui risiede il significante, che altro non è che il concetto. Quando dunque dobbiamo spiegare la nostra identità a qualcuno, che sia nell’atto di definirci, presentarci, scrivere di noi o anche quando qualcuno deve dire di noi è necessario parlare e nel parlare bisogna semplificare li «me», un significante troppo complesso per una parola, nelle categorie, nei contenitori, nei significati; affinché i significanti collegati ai significati usati nel descrivere il «me» possano essere compresi da un altro individuo. Se, perciò, non vi fosse la necessità di parlare, il «me» mai sarebbe categorizzato e semplificato e sarebbe, come nell’esempio del bambino solitario sopra esposto, definito nella semplice proposizione “Io sono me”.
Ci troviamo dunque davanti ad un evidente domanda: “Noi dunque ci conosciamo senza categorie?” E la risposta a questa domanda non può essere che negativa. Noi conosciamo anche il «me» attraverso le categorie. Tuttavia ciò non è in contraddizione con quello che è stato esposto fino a poco fa, è solo una conseguenza di un evento: l’egognosi è possibile solo nel caso in cui l’individuo non è inserito in un contesto nel quale è costretto a dover significare (nel senso di usare i contenitori del linguaggio, i significati) la propria identità per comunicarla a seconde parti. Nel momento in cui, invece, si è costretti a dover categorizzare attraverso il linguaggio la nostra identità ciò ha ripercussioni sul nostro approccio all’egognosi. Infatti, con la perpetua significazione del concetto del «me» l’individuo non potrà fare a meno di vedere anche lui il «me» come somma di categorie e dunque l’egognosi cadrà in disuso anche nella propria conoscenza del «me».
Ma se dunque questo tipo di identità personale che è l’egognosi è possibile solo nel caso in cui non sopraggiunga la società e il bisogno di significarla nel linguaggio, l’identità sociale cos’è? Si potrebbe chiamarla, nel tentativo di dare un nome auto-esplicativo a questo tipo di identità, idolum aliorum (dal lat. «idolum», in sens. fig. «idea», e «aliorum», nel sign. di «degli altri»). L’idolum aliorum altro non è che quella conoscenza del «me», di cui si è detto anche sopra, che, attraverso il linguaggio e la comunicazione, viene semplificata. Infatti, all’interno di una società per far sì che la nostra individualità venga esposta nelle relazioni sociali esponiamo l’identità al bisogno di essere descritta e semplificata per essere capita da altri che non possono conoscere il «me» di qualcuno altro da loro, in quanto lo strumento di conoscenza introspettivo per conoscere una persona così affondo lo ha solo l’individuo stesso nel momento in cui conosce se stesso (bisognerebbe leggere i pensieri, le passioni, i sentimenti ecc.). Inoltre all’interno della società non incorre solo il processo di significazione spiegato sopra, ma incorre anche la semplificazione tramite quel database sociale cui sopra si è fatto riferimento. L’individuo è analizzato secondo le categorie sociali di «lavoro», di «bellezza», di «simpatia», di «ricchezza», «classe», «successo», «origine», appunto «sesso» e «genere» ecc. E dunque, nel momento in cui il linguaggio agisce per significati nel processo di descrizione della nostra identità, esso si muove in questo processo usufruendo del socio-database di categorie che ogni ambiente socio-culturale possiede e dunque l’individuo perde quella totalità assoluta ed unitaria che poteva essere espressa nella proposizione “Io sono me”, perché il «me», non rientrando in una categoria del socio-database, non può significare nulla giacché non è riconosciuto come significato collegato ad un significante specifico identificabile nel database. Quindi, non risultando più come significato a sé quel «me» viene visto nella società come somma di significati, ciascuno collegato ad un significante riconosciuto nel socio-database. Dunque, la nostra identità, non è più l’egognosi unitaria di cui si parlava prima, ma diviene un idolum aliorum composto e scomponibile.
Come detto sopra, con l’arrivo dell’idolum aliorum, l’individuo, perpetuamente abituato a questo tipo di identità, trasforma l’egognosianch’essa in un idolum aliorum e decade facendo rimanere dunque solo l’identità sociale, solo l’idolum aliorum e facendo diventare noi non più una unità, ma una somma di elementi ciascuno fondamentale affinché la somma di questi rispecchi realmente ciò che in origine era quel «me», quell’egognosi.
Creazione dell’identità
L’identità, dunque, alla nascita ha un potenziale per essere un’identità egognotica tuttavia, nel momento in cui si fa ingresso nella società come essere pensante l’egognosi decade in favore dell’idolum aliorum. Infatti avvertiamo il bisogno d’un identità per prima cosa, o, se non per prima, in modo più esplicito e chiaro, nel momento in cui ci si trova a dover rispondere alla domanda “Tu chi sei?”. La prima risposta che il costrutto sociale e la nostra educazione ci insegnano di dare è il nostro nome. Tuttavia, con l’avanzare del tempo diviene sempre più chiaro all’individuo come il nome non è altro che una fonetizzazione del compito che precedentemente era adibito all’indice: indicare. In Uno, Nessuno e Centomila, nell’ultima parte del libro, v’è una frase che meglio d’ogni altra riesce, se capovolta leggermente ed analizzata, a spiegare questo principio e la funzione che il nome ha:
“[…] Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto d'ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e non definita […]”[15]
Se si capovolge e si analizza la frase si arriva a capire come il nome è il significato a cui è collegato il significante che è la nostra identità. E dunque il nome non è altro che quel dito che serve ad indicare l’individuo x con la bocca e non con l’indice. Quindi si capisce anche come la risposta alla domanda “Chi sei?” non può essere effettivamente “Io sono individuo x”, giacché il significante di individuo x non è spiegato nel nome più che nella proposizione “Io sono me”.
Dunque ci si muove alla ricerca di chi è questo «me» inspiegabile attraverso l’idolum aliorum e si procede verso una categorizzazione sociale dell’individuo (aspetto, lavoro, carattere, ecc.) riuscendo appunto a schematizzare il «me» fino ad arrivare a spiegarlo attraverso quelle variabili riconosciute all’interno del database sociale: all’interno della variabile lavoro, l’individuo x si posiziona come scrittore, all’interno della variabile altezza, si posiziona come alto, all’interno della variabile conoscenza, si posiziona come dotto; e già così l’identità di questo individuo x è definita come «uno scrittore alto e dotto». E così si va avanti fino a categorizzare ogni aspetto categorizzabile del sé.
Alcune ricerche spiegano, tuttavia, come l’individuo plasma la propria identità all’interno della società e sotto la continua influenza, non solo del dubbio che il “Chi sei’” instilla in lui, ma anche sotto l’influenza del giudizio sociale.
Testo originale
“We noted that individuals are motivated to present a positive self to influence how others see them in the hopes of attaining social validation of their claim to being (or becoming) a bona fide exemplar of the identity in question (DeRue & Ashford 2010). In short, others’ perceptions affect self-perceptions. The result ranges from a virtuous circle where iterations of enactment and social validation lead to greater internalization of the identity (i.e., to the identity taking root), to a vicious circle where social validation is denied.”[16]
Traduzione
Abbiamo notato che gli individui sono motivati a presentare un’immagine di sé positiva sotto l’influenza di come gli altri li vedono nella speranza di attrarre una validazione sociale del loro essere (o divenire) un esemplare autentico dell'identità in questione (DeRue & Ashford 2010). In breve, la percezione altrui influisce sull’auto-percezione. Il risultato varia da circolo virtuoso dove le iterazioni di promulgazione e validazione sociale portano a una più grande internalizzazione dell’identità (i.e., alla radice dell’identità), sino ad un circolo vizioso dove la validazione sociale è negata.
Dunque, durante la costruzione dell’idolum aliorum, l’effetto delle relazioni sociali e della società influisce non poco sulla suddetta costruzione. Proprio in quanto influisce, è impossibile l’affermazione di un egognosi che emancipi dalle categorie sociali la nostra visione dell’identità. La definizione che ci offre la sociopsicologa americana Marilynn Brewer è illuminante e estremamente esplicativa di questo concetto:
Testo originale
“Person-based social identities. This term is intended to refer to definitions of social identity that are located within the individual self-concept. In this usage, social identities are aspects of the self that have been particularly influenced by the fact of membership in specific social groups or categories and the shared socialization experiences that such membership implies.”[17]
Traduzione
L’identità sociale basata sull’individuo (Person-based). Questo termine si riferisce alla definizione di identità sociale che è localizzata all’interno dell’idea di sé individuale. In questo uso, le identità sociali sono aspetti del sé che sono stati particolarmente influenzati da ciò che appartenere a specifici gruppi sociali o categorie e che le esperienze di mutua socializzazione di tali appartenenze implica.
La stessa Brewer, tuttavia, nel medesimo articolo sopracitato, fa una distinzione specifica fra quella che chiama Relational Social Identities e quella che invece chiama, come su scritto, Person-Based Identity. La seconda, a differenza della prima, non indica una conoscenza del sé individuale, ma una conoscenza del sé in base alla funzione relazionale che ricopre all’interno delle relazioni sociali:
Testo originale
“Relational social identities. According to Thoits and Virshup (1997), role identities are also “me” identities in the sense that they are identifications of The Self as a certain kind of person. However, unlike person-based identities, role identities define the self in relation to others (Stryker, 1980). For this reason, Brewer and Gardner (1996) have argued that role identities are among a type of social identity that derives from interpersonal relationships within a larger group context.”[18]
Traduzione
L’identità socio-relazionale (Relational social identities). Secondo Thoits and Virshup (1997), le identità di ruolo sono sempre identità del “me” nel senso che sono identificazioni del sé di un certo tipo di persona. Tuttavia, differentemente dalle identità sociali basate sull’individuo (Person-based), le identità di ruolo definiscono il sé in relazione agli altri (Stryker, 1980). Per questo motivo, Brewer e Gardner (1996) hanno sostenuto che le identità di ruolo sono tra un tipo di identità sociale che deriva da relazioni interpersonali all'interno di un più ampio contesto di gruppo.
Dunque quello che precedentemente è stato chiamato idolum aliorum si può distinguere in un’«identità relazionale» e un’«identità conoscitiva», non nel senso che la prima offre una relazione e la seconda conoscenza, ma nel senso che la prima offre conoscenza attraverso la relazione sociale e la seconda offre conoscenza attraverso la coscienza del «me». Per esempio, riprendendo l’esempio dello scrittore alto e dotto, l’identità di «scrittore» rientrerebbe nell’identità relazionale, in quanto è una relazione una relazione sociale, mentre invece «alto» rientrerebbe nell’identità conoscitiva, ed infine «dotto» rientrerebbe ancora in quella relazionale, essendo data dalla relazione sociale che identifica un individuo come alto e uno come basso.
Identità come funzione sociale
Arriviamo ora ad un dato fondamentale: l’identità ha il ruolo di fornire una funzione sociale, e dunque un luogo, all’individuo. Nel caso in cui, infatti, un individuo sia privo di identità sociale è privo anche di posto all’interno della società e dunque di una funzione che sia riconosciuta.
Si prenda per esempio la variabile «lavoro» dell’identità. La si può vedere meccanicamente come attributo di compiere ripetutamente un’azione nel tempo, oppure ontologicamente come una caratteristica dell’essere. Si pensi al semplice modo di comunicare il proprio lavoro: “Io faccio l’insegnante” è un attributo dell’individuo nel senso che compie un’azione nel tempo (e.g. «insegnante» è attributo di compiere l’azione di insegnare); dall’altra parte “Io sono l’insegnante” è un modo di categorizzare l’essere, è una specificazione dell’individuo su un campo ontologico; non è un’azione che si compie nel tempo, ma è una tipologia d’essere (e.g. non compio l’azione di insegnare, bensì sono ontologicamente un’insegnante, sono l’essere insegnante, non il fare). Se si comprende questo concetto si capisce come nel primo caso il fare l’insegnante non ha più valore sociale del fare un’azione comune come cucinare, mentre nel secondo l’essere insegnante, essendo una caratteristica dell’essere, è un condizionamento assoluto. Se si è un insegnante si ricopre un ruolo, non si fa qualcosa, si è qualcosa. Questo qualcosa all’interno della società ha un luogo, un valore, una funzione, un giudizio. Si prenda per esempio una differenza tra individuo x e individuo y nella variabile identitaria della «lavoro»: individuo x è cuoco, individuo y è invece deputato parlamentare. Il cuoco avrà un valore sociale minore rispetto al deputato politico e dunque questo valore si ripercuote sull’individuo rispettivo (se, come spesso accade nella società capitalistico-consumista, si vede questa variabile con valore ontologico e non attributivo), più avanti il primo ha una diversa funzione dal secondo, uno sfama i clienti, l’altro si occupa di legiferare per portare benessere alla popolazione.
Tutto ciò però non vale solo per la variabile lavoro, che tuttavia è diventata forse una delle componenti più importanti dell’identità di un individuo, ma anche per tutte le altre variabili (e.g. orientamento politico, religioso, ideologico; aspetto fisico; carattere ecc.).
Dunque, una volta compreso questo, si comprende come l’identità di un individuo sia non solo una conoscenza del «me», ma anche un fattore che stabilisce il nostro scopo, funzione e posto all’interno della società. Se un individuo manca di identità, manca necessariamente di posto. Una persona anonima, priva di identità non avrà posto nella società in quanto non sarà identificabile in nulla se non in un generico anonimato L’assenza di identità a livelli profondi e su grande scala da origine a fenomeni quali massificazione, omologazione ecc.
IL GENDER: UOMO E DONNA, LA LORO ANTROPOLOGIA
Il genere ed il sesso come fattori antropologici
Se ci si approccia alla visione del genere e del sesso come fattori antropologici bisogna ricordare alcune caratteristiche fondamentali di quest’ultimi. Se si guarda alla definizione dei due infatti, come già spiegato nel primo paragrafo (vd. supra.: Terminologia) si comprende come essi siano radicalmente diversi nella visione di essi che la contemporaneità gli attribuisce, mentre nel passato sono stati visti come sinonimi.
L’origine del genere, infatti, specialmente nella cultura occidentale, è il sesso. Il genere ed il sesso nella storia hanno avuto una separazione estremamente recente, risalente appunto agli anni 60 come informa la Treccani:
“Il concetto di g. è stato introdotto negli anni 1960 dai medici statunitensi R. Stoller e J. Money del Johns Hopkins Hospital di Baltimora per distinguere l’orientamento psicosessuale (gender) di una persona dal suo sesso anatomico (sex).”[19]
Dunque le identità del genere sono state decise entro millenni di cultura occidentale. Ciò ha determinato una definizione dei generi non universale, ma antropologica. Françoise Héritier scrisse qualcosa a proposito nel suo saggio etno-antropologico Maschile e Femminile – Il pensiero della Differenza:
“Mi sono basata per cercare di fare capire a un pubblico diverso che le categorie di genere, le rappresentazioni della persona sessuata, la ripartizione dei compiti che conosciamo nelle società occidentali, non sono fenomeni a volare universale generati da una natura biologica comune, bensì costruzioni culturali. Infatti, con uno stesso «alfabeto» simbolico universale, ancorato a questa natura biologica comune, ogni società elabora «frasi» culturali particolari e che le sono proprie.”[20]
Ciò vuol dire che l’idea di donna che si ha nella cultura occidentale non è uguale a quella di altre culture, che il potere e il compito della donna che spesso si pensa sia universale, in realtà è tutt’altro che universale, ma, anzi, proprio come la società stessa è confinato in dei limiti e varia di cultura in cultura, di società in società. Come ogni fattore sociale identitario, per esempio il lavoro, l’orientamento politico o religioso, anche i sessi hanno dei loro precetti morali differenti gli uni dagli altri relativamente all’uomo e alla donna. Dunque è importante comprendere che tutto ciò che noi attribuiamo al concetto di donna, o al concetto di uomo, in realtà sono cose relative.
Ma effettivamente, il genere, al di là della definizione, bensì come concetto e come un’entità, linguistica e concettuale, cos’è? Se lo si vede da un punto di vista sterile, superficiale, la si può vedere come una semplice distinzione tra due differenti identità antropologiche, quella attribuita a ciò che viene chiamato «uomo» e quella attribuita a ciò che viene chiamato «donna». Tuttavia, in un senso più profondo, oltre all’identità individuale (che sia identità relazionale, conoscitiva, idolum aliorum o altro), il genere ha anche una funzione semiologica che attribuisce al genere non solo una morale, ma anche le mansioni sociali, un potere sociale e un significato esistenziale. L’uomo, per esempio, ha lo scopo, almeno visto nella visione antropologica occidentale che lo inquadra ancora nell’ottica fascista del superuomo virile, di raggiungere il massimo grado di potere (sia economico, che fisico, che altro); mentre la donna, sebbene in un processo di emancipazione da questa visione, nella cultura occidentale ha lo scopo esistenziale di essere una brava madre, ora in via di trasformazione nell’essere una brava madre emancipata però dall’obbligo; insomma il suo scopo è il desiderare al di là di un obbligo di essere una brava madre ed emanciparsi attraverso una progressiva ricerca di parità con l’uomo. Dato lo scopo esistenziale, ne sono date le funzioni e i ruoli sociali. Héritier è ancora illuminante da questo punto di vista nel suo saggio di etno-antropologia, in un cui passo spiega il fattore che la interessava della costruzione del genere:
“Tuttavia, la costruzione sociale del genere è un argomento che mi interessa da due punti di vista: come artefatto di ordine generale, fondato su quella ripartizione sessuale dei compiti che, insieme alla proibizione dell’incesto/obbligo esogamico e l’instaurazione di una forma di unione riconosciuta, costruisce secondo Claude Lévi-Strauss uno dei tre pilastri della famiglia e della società; e come artefatto di ordine particolare risultante da una serie di manipolazioni simboliche e concrete che riguardano gli individui, costruzione sociale che si aggiunge alla prima.”[21]
Ne deriva dunque che, dal momento in cui si creano, antropologicamente parlando, dei costrutti sociali e si identificano dei compiti legati al genere (che precedentemente era congruente inequivocabilmente con il sesso), si instaurino anche principi morali legati ad esso. Bisogna dunque ricordare di quelle parole di cui il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche mostrò ne “Il Crepuscolo degli Idoli”[22] mostrando come la morale sia un’interpretazione di determinati fenomeni e l’ordinamento di determinate regole in modo differente in diversi popoli. Ne consegue, difatti, che, esattamente come il ruolo sociale che ciascun genere ha, allo stesso modo ogni genere ha la sua morale. La donna non ha solo un compito nella cultura occidentale, ma ha anche una morale, esattamente come li ha l’uomo. Se si volesse fare un esempio, basterebbe guardare ai differenti precetti morali che i generi hanno nel comportamento in ambito sessuale: è segno di virtù per l’uomo avere successo ripetutamente nel corteggiamento e praticare spesso il coito, viceversa è invece deplorevole per la donna. Per l’uomo è morale, dunque, un atteggiamento che per la donna non lo è. Si può dunque parlare non solo di differenze di ruoli, ma differenze di morale. Può questa sembrare una conclusione ovvia, tuttavia è fondamentale capire il peso che la moralità ha: innanzitutto la moralità, essendo antropologica, non è universale, dunque non in tutte le società gli stessi comportamenti sono ugualmente morali per il medesimo sesso; proseguendo, la moralità sociale all’interno di una comunità in cui questa morale è insita (e.g. la morale occidentale è estremamente importante all’interno della società occidentale) è spesso una regola tanto importante quanto le leggi governative; infatti, come molti sociologi hanno mostrato nel tempo, alla trasgressione della morale segue una scomunica sociale. Non bisogna, perciò, cadere nell’errore di pensare che alla donna sia universalmente attribuita una moralità, ma bisogna invece considerare questa moralità del genere relativa alla cultura e alla società dove è applicata.
L’essere uomo e l’essere donna, perciò, non può assolutamente essere considerata una categoria minore dell’identità e non si può nemmeno pretendere che essa non sia connotata moralmente, funzionalmente ed esistenzialmente sulla base di caratteri socio-culturali. La differenziazione tra i due, non solo è una caratteristica che da sempre si aggira nel mondo dell’uomo, ma è qualcosa che ha dato forma al linguaggio[23] e al pensiero, ma che soprattutto è insito nella natura[24]. Pretendere che queste due categorie siano abolite o che ne siano abolite le differenze (un modo più carino per suggerire di abolirle) sarebbe come pretendere di rivoluzionare il modo con cui parliamo, pensiamo e guardiamo al mondo. Con questo non si vuole incoraggiare al sessismo o ad un radicale distinguo fra le due, ma solo ricordare che la pretesa di abolire le differenze deve essere consapevole dell’importanza che esse hanno nella nostra vita.
L’origine delle differenze gerarchiche tra i sessi
I due sessi, sin dagli albori di ciascuna civiltà, hanno avuto in gran parte, se non tutte, un ordinamento gerarchico fra di essi. Questo ordinamento gerarchico, giustamente criticato nella società contemporanea, altro non è che l’interpretazione antropologica di quello che è osservabile empiricamente. Il sesso, e dunque per tanto tempo anche il genere, altro non è che una distinzione fisica di apparati riproduttori, ormoni ecc. Queste differenze, osservate ripetutamente, hanno avuto delle ripercussioni nelle interpretazioni sia causali che finali dei sessi e dei generi. Di fronte a questa differenza, non si poté fare altro che porsi la domanda: “Perché?” e una volta trovata risposta a quest’ultima, non si poté resistere dal farsene un’altra: “Affinché cosa?”. Dunque questa differenza fisica e biologica ha messo l’uomo di fronte al semplice dilemma della motivazione e successivamente dello scopo di essa.
Tutto ciò che noi attribuiamo al sesso e al genere, che non sia inscritto biologicamente e fisicamente in esso, non è altro che il frutto di interpretazioni simboliche, di spiegazioni e di motivazioni che l’uomo, nelle differenti società e in diverso modo per ciascuna di esse, si è dato al fine di rispondere alle domande sopracitate. Tutto ciò, se si guarda alle interpretazioni della catena di filiazione, diventa estremamente chiaro: tutto parte da un dato univoco, incontrovertibile: per generare qualcuno serve che due individui di due sessi opposti si incontrino e copulino. Serve dunque una somma di due differenti elementi di due insiemi diversi; serve, per fare un esempio, che un individuo x appartenente all’insieme X si incontri con un individuo y appartenente all’insieme Y, per generare un individuo che non può che appartenere a ciascuno dei due insiemi e dunque essere un individuo z appartenente all’insieme X o Y. Da questa conclusione ne deriva che la somma di due elementi dei due insiemi non origini un elemento combinatorio dei due, ma un individuo che appartiene o uno o all’altro insieme; ovvero: dall’accoppiamento di maschio e femmina non ne deriva un individuo di un terzo sesso prodotto dei precedenti, ma solo un altro individuo o maschio o femmina. Ciò, se lo si guarda da un punto di vista dei sessi, è una manifestazione anti-hegeliana della natura: una tesi X, sommata ad una tesi Y, non da una tesi Z somma delle precedenti due, ma origina casualmente un’ulteriore tesi X o Y. Si può pensare a questo fattore dell’accoppiamento con un semplice parallelismo di matematica elementare: i numeri interi appartengono a soli due insiemi, pari e dispari, e dunque qualsiasi somma tra essi origina un numero che appartiene solo ed unicamente ad uno di questi due insiemi. Se si somma un numero pari con uno dispari, il risultato non sarà un numero appartenente ad un insieme prodotto di pari e dispari, ma solo un numero dispari.
Da questo incontrovertibile fatto di successione (prima la gallina e poi l’uovo, prima i genitori poi il figlio) nasce un’interpretazione dei dati che da origine ad una linea di successione filiale stabilita culturalmente, come la Héritier spiega ottimamente:
“[…] A partire da questi dati elementari, le combinazioni logiche che è possibile fare tra posizione sessuate parentali e posizioni sessuate di figli sono soltanto sei: patrilineare, matrilineare, bilineare, cognatica, parallela, incrociata. Le ultime due non sono praticamente mai realizzate, e non ce ne possono essere altre. Ma non ce ne possono essere neanche di meno, perché non ha potuto imporsi universalmente un’unica soluzione: tutte le possibilità logiche plausibili e realizzabili sono state esplorate. […]"
"[…] Mi considero dunque materialista: parto effettivamente dal biologico per spiegare come hanno avuto luogo sia le istituzioni sociali che i sistemi di rappresentazione e di pensiero, ma ponendo come dato di principio che questo dato biologico universale, ridotto alle sue componenti essenziali, irriducibili, non può avere una sola e unica traduzione, e che tutte le combinazioni logicamente possibili, nei due sensi del termine – matematici, pensabili – sono state esplorate e realizzate dagli uomini in società.”[25]
Ma quali sono i dati biologici effettivi da cui parte la gerarchizzazione dei due generi? Se si parte innanzitutto da un fatto incontrovertibile si capisce come ci dovesse essere per forza un «vendi-compra», se così si può dire, degli individui del sesso opposto. Questo dato è quello che Claude Lévi Strauss fornì nel suo saggio Strutture elementari della Parentela nel quale teorizzò la teoria dell’alleanza, che fu un vero spartiacque nella parentologia. Questa teoria evidenzia il tabù dell’incesto e dunque la necessità all’interno dei sistemi patrilineari, altresì chiamati omaha (“I sistemi crow sono spesso associati a una regola di discendenza matrilineare, mentre quelli omaha si ritrovano nelle società basate sulla discendenza patrilineare.”[26]), e matrilineari, altresì chiamati crow, di iniziare un «mercato», per così dire, del partner riproduttore. Lo spiega bene Strauss nel suo stesso libro:
“Il divieto dell'uso sessuale della figlia o della sorella obbliga a darla in sposa ad un altro uomo e, allo stesso tempo, crea un diritto sulla figlia o sulla sorella di quest'altro uomo. Pertanto, tutte le clausole negative del divieto hanno una controparte positiva. La difesa equivale a un requisito: e la rinuncia apre la strada a un reclamo."[27]
Se dunque si crea il mercato del partner si crea anche il mercato del clan, della famiglia. Dunque le famiglie devono «vendere», per così dire, la propria prole ad un'altra famiglia per guadagnare o preservare lo status familiare trasmesso o matrilinearmente o patrilinearmente in dipendenza del sistema crow o omaha. Può di nuovo aiutare un articolo pubblicato al riguardo sul giornale Eco Internazionale da Stefania Sciacca, direttrice per Orizzonti, che scrive:
“Lévi-Strauss prova a spiegare l’interdizione dell’incesto domandandosi non cosa proibisce, ma cosa ordina. Proibire l’incesto significa ordinare l’esogamia, quindi gli appartenenti a un gruppo sono obbligati a ricercare il coniuge in un altro gruppo (che può variare in: famiglia, clan).[28]”
Capito questo, si comprende che dunque una gerarchia di un genere sull’altro non potesse che essere inevitabile, in quanto qualcuno deve comprare (il detentore del titolo sociale) e qualcun altro essere venduto (colui che invece deve acquisire un titolo con il matrimonio e la costituzione di un nucleo familiare). La matrilinearità tuttavia non ha mai avuto lo stesso potere che, d’altra parte, si è sempre costituito nei sistemi omaha. Infatti, come spiega nuovamente nel suo saggio Françoise Héritier[29], nei sistemi crow il modo “specularmente inverso dei sistemi patrilineari omaha” non va mai fino in fondo. Non bisogna appunto scambiare la matrilinearità per la matriarcalità. Il potere all’interno della società non viene dalla proprietà della catena filiale (e.g. la civiltà greca omerica era una civiltà matrilineare ma enormemente patriarcale). Il fatto che lo status sociale del nucleo familiare sia trasmesso dalla madre, non vuol dire necessariamente che la madre detenga il potere all’interno del nucleo. Infatti, come poc’anzi detto, nei sistemi crow non si verifica quel comportamento specularmente opposto a quello delle famiglie omaha. Nelle seconde, invero, il rapporto fratello-sorella ha le stesse dinamiche e gli stessi bilanciamenti di potere del rapporto padre-figlia, mentre nelle società con un modello crow, il rapporto sorella-fratello non ha né le dinamiche né il bilanciamento di potere del rapporto madre-figlio e, anzi, spesso si ha, come nel caso della civiltà omerica, il rapporto inverso, ovvero il rapporto padre-figlia.
Se a ciò non vi si crede basti pensare al celebre addio fra Ettore e Andromaca nell’Iliade, in cui è l’uomo ha prendere le decisioni, anche quella di morire, e la donna, seppur distrutta da quest’ultima, deve obbedire. Sempre uno scrittore greco, Sofocle, ne dà un altro esempio nella sua opera l’Aiace, in cui scrive:
“Il silenzio dà alle donne la grazie che a loro si addice”[30].
Dunque non bisogna commettere l’errore di credere che una società matrilineare crow sia anche una società matriarcale e, anzi, bisogna rammentare che mai o quasi mai sia esistita una società veramente matriarcale.
Da qui sorge dunque un ulteriore domanda: da dove nasce questa assoluta supremazia dell’uomo? Giunge in aiuto alla risoluzione di questo dilemma Aristotele; quest’ultimo infatti attribuì la debolezza insita nella natura femminile alla perdita involontaria ed incontrollata di sostanze sanguigne. Mentre l’uomo perde sangue solo controllatamente (nel senso che nel caso dell’uomo deve per forza accadere qualche evento esterno che causi la perdita di sangue) mentre nelle donne essa avviene incontrollata e regolarmente, indipendentemente dagli eventi; inoltre è anche, nell’uomo, controllabile la perdita di sostanza spermatica per esempio nel momento dell’eiaculazione. Dunque si potrebbe fare l’ipotesi ragionevole che l’origine più primitiva di questa gerarchia risalga alla manifestazione empirica di questo controllabile-incontrollabile, di questa differenza di controllo del corpo tra i due sessi. La Hèritier spiega anche ciò in modo illuminante:
“La perdita di sostanza non tocca dunque tutti gli individui allo stesso modo. E’ controllabile anche la mole di sostanza spermatica, e molti sistemi sociali e ideologici ne raccomandano e organizzano il controllo. Potrebbe darsi insomma che in questa ineguaglianza – controllabile versus incontrollabile, voluto versus subìto – si trovi la matrice della valenza differenziale dei sessi che sarebbe allora anch’essa inscritta nel corpo, nel funzionamento fisiologico, o che, più esattamente, procederebbe dall’osservazione del funzionamento fisiologico.”[31]
Dunque, sebbene interpretate, le differenze sessuali sono presenti e da lì, da queste differenze osservabili e empiricamente provate dalle differenze fisiche e biologiche, è originata la differenza gerarchica dei sessi e l’ordinamento della società sulla base di queste differenze. Ciò che si è verificato non è altro che un tentativo di rispondere a dei dubbi naturali sulla base di interpretazioni socio-culturali che hanno successivamente originato un ordine sociale e una gerarchia dei generi. Queste differenze fisiche, dunque, non possono essere del tutto accantonate; non perché esse indichino una giusta gerarchia (cosa che è ben lontana dall’essere giusta), ma perché il pretendere che differenze non ce ne siano sarebbe pretendere di negare l’evidenza dei fatti.
LIBERTARISMO IDENTITARIO E LIQUIDITA’
Libertarismo
Se dunque con questi paragrafi è stata fatta chiarezza sui vari concetti fondamentali che servono a comprendere questo articolo; ora è giunto il momento di venire al dunque e incominciare ad approcciare al concetto di quella che ho deciso di chiamare: liquidità identitaria.
Ma a cosa ci si riferisce quando si parla di liquidità identitaria? Il nome di questo fenomeno è un chiaro riferimento a quel grande scritto di Zygmunt Bauman intitolato: Liquid Modernity nel quale l’autore cerca di spiegare la metafora della liquidità che aveva creato. Se tuttavia una grande comprensione del concetto sopra nominato potrebbe derivare dalla comprensione e la lettura del testo di Bauman, è opportuno fare prima una distinzione semantica di due cose spesso confuse: la democrazia politica e la democrazia sociale.
Difatti, se nella prima ci si riferisce alla sfera dello stato e del governo e dunque di un’equità assoluta fra individui singoli di fronte alle decisioni politiche, la seconda, più complessa, si riferisce alla libertà e all’equità assoluta nella sfera sociale che, per quanto le leggi cerchino di governare, spesso esula dal dominio dello stato. Questo concetto è ben spiegato in un articolo di Norman Wilde all’interno dell’International Journal of Ethics:
Testo Originale
“The possibilities of divergence between democracy and liberty become more evident when we distinguish political from social democracy. The former means the equal right of all men to share in government, either directly or through their representatives: the latter implies such a form of social organization that each man shall be recognized for what he is intrinsically worth. A socially democratic society, therefore, is one in which the binding force of conventions is at a minimum, and the individual is given the freest opportunity for self-expression. But to be one's self is not to be someone else, and hence the loosening of social restrictions should tend to the development of originality and difference […] Opportunity to be different would be freely granted”[32]
Traduzione
Le possibilità di divergenza tra democrazia e libertà diventano più evidenti quando si distingue la democrazia politica da quella democratica. La prima indica che tutti gli uomini hanno gli stessi diritti di condividere il governo, sia direttamente o attraverso i loro rappresentati: la seconda implica un tipo di forma di organizzazione sociale in cui ogni uomo deve essere riconosciuto per il proprio valore intrinseco. Una società socialmente democratica, dunque, è una società in cui la forza vincolante delle convenzioni è ridotta al minimo, e l’individuo ha piena possibilità di espressione personale. Tuttavia essere se stessi non significa essere qualcun altro, e quindi l'allentamento delle restrizioni sociali dovrebbe tendere allo sviluppo di originalità e differenza […] L’opportunità di essere differenti sarebbe concessa liberamente.”
Se, dunque, spesso di parla di libertà in senso politico, dell’oppressione o della liberalizzazione dei potenti o governanti verso il popolo; ora si sta parlando di una libertà offerta da una democrazia sociale e non politica.
Occorre, tuttavia, prima di addentrarci nell’analisi del concetto di identità liquida, fare prima un’ulteriore precisazione, affinché l’autore dell’articolo non sia frainteso o accusato di incoerenza. Bisogna dunque comprendere che la libertà di cui si parlerà di qui in poi in questo articolo non è la medesima di cui si scrisse nel precedente articolo Libertà e Libero Arbitrio nella Società Moderna, in cui si sosteneva che nell’attuale società la libertà è solo una chimera che ci siamo costruiti. Invero, quella libertà si trattava di una libertà più assoluta, più profonda e intesa nel senso più vero del termine; invece in questo articolo la libertà è intesa solo nel senso di “possibilità di definizione” che è sì importante, ma tuttavia non assoluta e né profonda come quella affrontata nel precedente articolo.
Fatta tale precisazione ci si può incominciare ad addentrare a comprendere ciò che il termine identità liquida voleva significare.
Liquidità
Bauman apre il suo saggio, Liquid Modernity, spiegando il concetto di «liquidità». Bauman dà alla storia uno sguardo dialettico in cui vede, nello spirito Marxista della storia, un alternarsi di stadi. Marx lo aveva visto e interpretato come un alternarsi di conflitti fra dominati e dominanti nel quale ai secondi si contrappongono sempre i primi che, dopo una vittoria, finiranno per trasformarsi in coloro che volevano distruggere e dunque i dominati finiranno per divenire i dominanti di qualche altro dominato, e così all’infinito. Bauman, invece, vede la storia sempre sotto uno sguardo dialettico di forze in opposizione di stadi di conflitto fra cosa e opposto alla cosa, applicando anche lui come Marx la filosofia di Hegel; tuttavia, secondo Bauman, l’opposizione non è di superiorità o sottomissione, non si tratta di dominati e dominanti, ma di quelle cose che lui chiama con le metafore rispettivamente di «solidità» e «liquidità». Con queste metafore l’autore vuole alludere ai processi di trasformazione delle istituzioni sociali. Nel suo materialismo dialettico, infatti, Bauman non prende in considerazione altro che la stabilità dei costrutti sociali ed è in essi che Bauman vede l’opposizione di solidità e liquidità, di irrigidimento e scioglimento, di durezza e mollezza. La solidità è lo stato in cui le istituzioni socio-culturali sono rigide e affermate in senso definitivo, mentre la liquidità è quel processo di distruggimento e appunto liquefazione delle istituzioni solidificate in senso definitivo per mancanza di concordanza:
“La causa originaria della liquefazione dei corpi solidi non è stata l’avversione alla solidità in quanto tale, ma l’insoddisfazione per il grado di solidità esistente/tramandata: semplicemente questa non era abbastanza solida (e cioè resistente/immune al cambiamento). […]"
"[…] In sintesi, se nella fase «solida» il cuore della modernità risiedeva nella capacità di controllo/definizione del futuro, nella fase «liquida» la principale preoccupazione è quella di non ipotecare il futuro e di scongiurare qualsiasi rischio di non poter sfruttare le opportunità ancora segrete, ignote e inconoscibili auspicate/attese per il futuro.”[33]
Tuttavia, prosegue Bauman, nella modernità questo processo dialettico è andato incontro ad un disfacimento della sua componente di contrapposizione e si è stabilizzato in una fase di perpetua liquidità e rifiuto della solidità. Le istituzioni rigide e definitive non possono più essere create per un rifiuto di questa stessa rigidità e dunque si istituisce un sistema di effimeri e instabili costrutti socio-culturali che però non hanno abbastanza stabilità per supportare quelle caratteristiche sociali che fino ad ora erano sostenute dal periodo solido:
“Le forme di vita moderne, per quanto moderne, per quanto diverse tra loro per molti aspetti, hanno tutte in comunque proprio questa fragilità, provvisorietà, vulnerabilità e tendenza a cambiare continuamente. «Essere moderni» significa modernizzare, compulsivamente e ossessivamente: non tanto «essere» - e tanto meno mantenere intatta la propria identità -, ma «divenire», restare perennemente incompiuti e indefiniti. […]"
"[…] Essere sempre «post-qualcosa», in ogni fare ed epoca, è un’altra caratteristica inseparabile della «modernità». […] Quella che tempo fa era stata (erroneamente) etichettata come «post-modernità», e che io ho preferito chiamare, in modo più pertinente, «modernità liquida», è la convinzione sempre più forte che l’unica costante sia l’incertezza. Cent’anni fa «essere moderni» significava inseguire «lo stato di perfezione definitivo», mentre ora allude a un miglioramento all’infinito, privo di qualsiasi prospettiva o aspirazione a diventare «definitivo». […]"
"[…] Tuttavia, in una fase successiva (che nella nostra parte del mondo non si è ancora conclusa) i corpi solidi hanno finito per essere visti come condensati di magma liquido, dichiaratamente transitori e destinati a durare «fino a nuovo avviso»: soluzioni temporanee, più che definitive. La flessibilità è subentrata alla solidità come stato ideale delle cose e delle relazioni.”[34]
V’è stata dunque, secondo Bauman e secondo anche questo articolo, una liquefazione della solidità a cui però non è seguita, come era previsto invece che seguisse, una successiva solidificazione. Ciò ha originato un progressivo abbattimento di tutte quelle barriere che avrebbero dovuto definire e regolarizzare, stabilizzare e irrigidire. Una barriera è qualcosa di definitivo, una barriera, allo stesso modo di una definizione sta a dire: «fin qui, non oltre qui»; è qualcosa di definitivo e di non mutabile. Dunque, nel momento in cui l’immutabile e il definitivo sono aboliti nella società e si lascia spazio solo alla liquidità e all’instabilità, al perpetuo cambiamento, ciò che si ottiene altro non può essere che una continua liquidità che non può che portare ad una sovrapposizione di cose e ad una confusione non chiarificata; giacché nel momento in cui qualcosa viene affermata ve ne può essere allo stesso tempo una che la confuta e che a sua volta è confutata da una terza, dal momento che nessuna delle tre è solida e definitiva ma solo temporanea e liquida e dunque instabile. Questa sovrapposizione non può che portare che ad un’oscillazione di tutti quei valori e di tutte quelle caratteristiche che identificavano nella società una regolarità, una struttura e dunque non può far altro che gettare la costruzione sociale nel caotico del totale libertarismo. L’assenza di regole sociali data dalla liquidità implica totale libertà di ciascun individuo che soverchia la libertà altrui; tuttavia nella convivenza sociale la libertà individuale non può essere assoluta in quanto per la convivenza civile è necessario stabilire limiti che impediscano alla libertà di un individuo di soverchiare la libertà di un altro. Ciononostante nell’attuale modernità liquida questa imposizione sarebbe un altrettanto definitiva imposizione che non può essere tollerata dal processo di perenne liquefazione.
Tutto ciò si ripercuote anche sulle leggi dell’identità.
Identità liquida
Compreso, infine, cosa vuol dire liquidità ci si può approcciare ad una vera e propria definizione del concetto di identità liquida: all’interno della modernità liquida, avversa alla solidificazione, le regole dell’identità, dell’idolum aliorum, e tutte le categorie del socio-database decadono, in quanto qualcosa di solido. Decadendo quelle categorie, l’identità si manifesta sottoforma di totale libertarismo espressivo e riemerge quello che di per sé doveva essere un processo identitario fatto per se stessi, ovvero l’egognosi. Nel momento in cui l’egognosi riaffiora e si manifesta all’interno della società, tende, come per sua natura, a mutarsi nella forma egognotica del linguaggio e delle relazioni sociali: l’idolum aliorum, tuttavia, nel momento in cui questo idolum aliorum, di norma basato su un socio-database e basato anche sul linguaggio, su quei costrutti sociali che offrono una categorizzazione e una schematizzazione, cerca di aggrapparsi a ciascuna delle cose su cui si basa, non riesce a trovarle, in quanto tutte quante non possono esistere perché necessitano di una solidità che non può essere sostenuta dalla liquidità moderna. Dunque l’idolum aliorum altro non può fare che mutarsi in uno stato transitorio tra l’egognosi, ormai risorta ma che può persistere solo come definizione del «me» per se stessi, e tra l’idolum aliorum basato su solidi costrutti sociali. Si origina dunque un terzo stadio di caosonomia – così credo sia opportuno chiamarla – (composto di xaos, dal gr. «caos», e di onoma, dal gr. «nome»), in cui ciascun’identità può esistere al di là della definizione socialmente chiarita. Persiste, perciò, nella caosonomia, un libertarismo identitario privo di alcun fondamento sociale, nel quale, nel tentativo di offrire la libertà identitaria a ciascun individuo e di eliminare le costrizioni sociali che la limitavano, si è originato uno stato di totale autonomia individuale in cui ciascuno può definirsi autonomamente senza rispettare ciascuna delle regole sociali necessarie alla comprensione dell’identità di ciascuno.
Se, in conclusione, si volesse dare una definizione sintetica di ciò che si vuole intendere con il termine «identità liquida» si potrebbe dire ciò: “L’identità liquida è quello stato sociale in cui, attraverso l’abbattimento di ciascuna barriera e di ciascun costrutto sociale, l’identità è divenuta una determinazione autonoma e priva di fondamento sociale, di difficile costruzione di altrettanto difficile definizione.”
TRANSGENDERISMO E QUEER: OSCILLAZIONI IDENTITARIE E INCAPACITA’ DI DEFINIZIONE
Ripercussioni sociali dell’identità liquida
Nel momento in cui tutto ciò che era deciso è sobillato, mosso e liquefatto in indecisione, instabilità ed indeterminatezza, tutto ciò che veniva fornito all’individuo come cosa data e non scelta, diviene invece non solo una scelta ma persino una costruzione della scelta; la scelta non è basato su due elementi dati, ma da elementi costruiti da noi, selezionati da noi. Difatti, una scelta prevede che ci siano due cose definite e stabilite, una scelta è tra elemento x ed elemento y, ma questa è un imposizione che non è più tollerata; nella liquidità la medesima scelta deve poter essere, e di fatto può essere, una scelta tra elementi da noi selezionati. Dunque x e y non devono per forza essere gli elementi della scelta, ma potrebbero essere per esempio z e h o x e z o y e h e così via. Tutto ciò richiede uno sforzo più grande di quanto non si fosse previsto.
Difatti nel processo di liquefazione non si è tenuto conto della forza che l’assenza di rigidità avrebbe comportato: tutto ciò che prima ci veniva dato, stabilito e che era assolutamente inequivocabile, fatto univocamente e intrasformabile, nella liquidità perde tutto questo carattere di permanenza e, perdendo la solidità che lo rendeva stabile, diviene precario e dunque decade. Così tutto ora deve essere costruito dall’individuo. Bisogna che l’individuo, a prescindere dalla sua forza, si costruisca da sé le opportunità, le scelte, l’identità. Ma tutta questa liquidità è stata fatta piombare sull’uomo senza preparazione adeguata, tutta questa liquidità che ora ci permette di abbattere quelle istituzioni che prima erano considerate le roccaforti inespugnabili della società, che ci permette di rinnovarle e migliorarle (ma anche di peggiorarle), non è stata ponderata nel tempo e dunque ora l’uomo si ritrova con troppa scelta ma senza la capacità di scegliere. E così l’uomo si ritrova senza istituzioni quando ancora non è effettivamente pronto, né tanto meno conscio, del decadimento di esse.
Questo, specialmente nel processo identitario crea grossi problemi al singolo, non essendo in alcun modo indirizzato, aiutato. L’individuo è, nella contemporaneità, come un bambino cui da un giorno all’altro si impone di attraversare da solo la strada, senza che nessuno gli abbia mai detto neppure da che parte guardare per prima cosa. Il bambino attraversa come può: a caso. Ma non tutti i bambini che attraversano a caso riescono ad evitare tutti i problemi che l’attraversamento presenta.
L’identità liquida e quello stato di caosonomia non solo provoca confusione, come sopra spiegato (vd. supra.: Identità liquida), ma non fa disporre all’uomo di tutti quegli strumenti che prima erano dati attraverso la solidità. L’identità è nel tempo stata imposta da vari elementi immodificabili. Ci si nasceva e, che fosse l’identità che piaceva o meno, l’identità (stento straordinari casi) rimaneva quella; non cambiava. Era definita dal ceto, dal sesso, dalla città di provenienza ecc.: un ragazzo nato maschio da una famiglia di calzolai a Parigi era irreversibilmente un uomo, calzolaio di Parigi. Non si usciva da questi vincoli. Ora, invece, si nasce e neppure la cosa immediata alla vista, il sesso, definisce l’identità, in quanto essa è definita dal genere che può essere diverso. L’identità ora, che è la cosa che da una funzione sociale e che ci distingue da ciò che è altro da noi, non è data da nulla alla nascita e va costruita dallo zero più assoluto. Non vi sono vincoli, limitazioni, non v’è nulla che in negativo o in positivo forzi una strada o la indichi, vi è solo la sconfinata e terrorizzante linea dell’orizzonte. L’uomo può essere quello che l’uomo desidera. Ma la domanda che non ci siamo posti nel processo di liquefazione e di caosonomia è: e se l’uomo non sa cosa desidera?
La risposta non c’è. L’uomo deve sapere cosa desidera, in quanto tutto quello che prima era dato ora deve essere non scelto, bensì creato per poi essere creata una scelta e infine essere scelto. E dunque se l’individuo non sa cosa desidera, o lo sa ma la forza e le capacità che possiede non sono abbastanza da permettergli di completare - o anche di iniziare - questo processo, non riuscirà a determinarsi in alcun modo.
Transgender, transessualità e disforia di genere
Arriviamo dunque a ciò cui effettivamente questo articolo voleva rispondere. Il boom di transgender e, più genericamente di tutta la comunità LGBTQ+.
La prima domanda da porsi dunque è cosa rende un transgender ciò che è. Quand’è che una persona è transgender?
Testo Originale:
“Transsexuality is the most extreme gender-identity disorder, distinguished by the unshakable conviction of belonging to the opposite sex, which often leads to a request for sex-reassignment surgery.”[35]
Traduzione:
La trans-sessualità è il disturbo legato all’identità di genere (gender-identity disorder) più estremo, caratterizzato dall’imperturbabile convinzione di appartenere al sesso opposto, tutto ciò può spesso portare alla richiesta di un’operazione chirurgica di transizione.
Questa è la risposta che degli scienziati dell’università di Oxford ci danno nel loro abstract che prelude ad un articolo di ricerca proprio sulla trans-sessualità. Tuttavia l’American Psychological Association preferisce definirlo in modo diverso, senza usare il termine «gender-identity disorder»:
Testo Originale:
“The term «transsexual» refers to people whose gender identity is different from their assigned sex. Often, transsexual people alter or wish to alter their bodies through hormones, surgery, and other means to make their bodies as congruent as possible with their gender identities.”[36]
Traduzione:
Il termine «transessuale» si riferisce alle persone la cui identità di genere differisce da quella del sesso assegnato. Spesso, le persone transessuali alterano o desiderano alterare il loro corpo tramite ormoni, chirurgia, e altri mezzi al fine di far combaciare il corpo nel modo più congruente possibile alla loro identità di genere.
Infatti, ciò che l’articolo vuole indagare nello specifico, non è il transgender che è un termine comune con cui ci si riferisce a tutti quegli atteggiamenti che sono per l’appunto trasversali al genere (e.g. il semplice vestirsi differentemente perché non ci si riconosce nel proprio sesso biologico)[37], bensì il transessuale, la cui definizione è riportata sopra.
Bisogna, ciononostante, ricordare che spesso le persone transessuali, il cui senso di inadeguatezza al genere è il più profondo e più persistente nel tempo, sono, come ci informa la stessa fonte, considerati, successivamente a varie ricerche scientifiche, affetti da quella che si chiama «disforia di genere» introdotta nel “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” (DSM-5). Dunque non si definisce transessuale colui che ha un vago senso di inadeguatezza, peraltro magari non verificata, che viene attribuita dall’individuo, forse in stato confusionale dovuto allo stato di inadeguatezza stesso, ad un’oscillazione identitaria; bensì lo è colui che è prolungatamente disturbato da questo senso di inadeguatezza e che dunque è affetto dalla disforia di genere.
Concezione moderna dei generi e caos della comprensione
Il genere, come sopra spiegato, è un processo antropologico di costruzione di un’identità socio-culturale attorno all’idea di «donna» e «uomo». Dunque fin qui è perfettamente chiaro come un individuo possa sentire di appartenere ad un genere diverso dal sesso biologico, tuttavia, incomincia a crearsi caos e confusione e difficoltà di comprensione di questo processo nel momento in cui si assumono le definizioni di «uomo» e di «donna» che la società sta cercando di coniare. Il «femminismo dell’eguaglianza», in opposizione al «femminismo della differenza», si sta battendo da anni, riscuotendo più successo rispetto alla sua controparte, per abolire quelle che sono tutte le differenze e le barriere tra uomo e donna. Se il secondo si ripropone di fornire pari opportunità di genere, ma mantenere le differenze che distinguono un genere dall’altro, il primo, che ha decisamente più consenso (sia mediaticamente che politicamente), si ripromette di distruggere qualsiasi differenza tra uomo e donna e dunque di far combaciare le due definizioni.
Tuttavia la logica formale, risalente ad Aristotele, ci propone da sempre due principi fondamentali che non possono essere violati, finché qualcuno non vi sia che li confuta; difatti il primo, il Principio di identità, asserisce che una cosa non può che essere uguale a sé stessa (A=A, uomo=uomo), il secondo, invece, il Principio di non-contraddizione, asserisce:
«È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo»[38]
Ovvero A ≠ non-A o uomo ≠ non-uomo, ne consegue che uomo ≠ donna. Dunque, sebbene ancora l’essenza del femminismo dell’uguaglianza rispetta il primo principio, non aderisce, e non potrebbe in alcun modo farlo, al secondo. Difatti se l’uomo fosse uomo ma non avesse differenze dalla donna, non sarebbe forse allo stesso tempo anche donna? Leibniz su questo crea un principio fondamentale nel successivo progresso della logica, il Principio degli indiscernibili, nel quale afferma:
Testo Originale:
“Eadem sunt, quorum unum potest substitui alteri salva veritate”[39]
Traduzione:
“Le cose delle quali l'una può essere sostituita dall'altra mantenendone intatta la verità, sono le stesse”
Con questa asserzione, e dunque con questo principio, Leibniz vuole dire che se x non ha alcuna differenza da y allora non possono dirsi cose diverse. Se dunque l’«uomo» non ha nulla di diverso dalla «donna», come il femminismo dell’uguaglianza vuole, «uomo» e «donna» sono la stessa cosa.
Se quindi, nell’approcciarsi al tema di un cambio di identità e dunque della transessualità, si prende come quadro del genere la definizione di questo tipo di femminismo, la domanda che segue è “in cosa ti stai definendo?”. Se l’individuo non si sente a suo agio nel genere, per esempio, di uomo e dunque si sente donna, ma tuttavia uomo e donna non hanno alcuna distinzione tra loro, in cosa si sta definendo? In qualcosa di effettivamente divero, al di là del nome che vi si dà e dei pronomi con cui ci si appella all’individuo? Se il risultato che si vuole ottenere dalla società è la perfetta uguaglianza, priva di differenza alcuna, tra uomo e donna, allora tutto il discorso sull’identità del genere non sussiste e soprattutto crea confusione. Nel momento in cui si parla di identità di genere si presume che vi sia più di un’identità di genere, ma se «uomo» e «donna» indicano le stesse cose, lo stesso definirsi in un genere è un atto che non ha ragione d’essere, in quanto definirsi donna o uomo sarebbe definirsi la stessa esatta cosa con una differenza unicamente nominale. Difatti, se quest’uguaglianza fosse determinata in modo completo all’interno della società, non avrebbe nemmeno ragione d’essere l’idea di genere. Il genere, come sopra spiegato (vd. supra: Il genere ed il sesso come fattori antropologici), origina dalla differenza dei sessi, tuttavia, se nel genere non v’è questa differenza, non v’è ragione che esso esista. Il genere è differente dal sesso solo in misura in cui ha una dimensione non fisico-biologica ma identitaria, costruita su paradigmi socio-culturali. Nel momento in cui «uomo» e «donna» sono la medesima cosa, l’unica differenza tra le due cose che vi sarebbe, sarebbe il sesso maschile e femminile, mentre il genere, essendo uguale sia come donna sia come uomo, sarebbe uno solo e dunque come identità non vi sarebbe data una scelta o una distinzione da individuo a individuo. Che ragione vi sarebbe dunque di esistere? Se vi si applica il Principio di economia (rasoio di Occam), si vede subito come la soluzione più logica, nel caso in cui sia riconosciuto universalmente nella nostra società il femminismo dell’uguaglianza, sia la non sussistenza del genere.
Oscillazione identitaria ed incapacità di definizione: l’Io fichtiano del divenire e la sua difficoltà nell’identità liquida
Se si vede l’egognosi e l’idolum aliorum come processo di definizione, si può vedere l’io fichtiano come un processo di creazione di essi. Se si guarda al sé, al proprio Io come un Io fichtiano, un perpetuo divenire, come un porsi continuo, un farsi senza fine, si capisce come queste determinazioni identitarie siano del tutto legittime, quasi inevitabili. Si comprende che il confronto con la propria conoscenza di sé e dunque con il proprio idolum aliorum è interminabile e costante: ogni momento è un nuovo definirsi e dunque una creazione di un nuovo idolum aliorum, è un riporsi e un ridiscutere la propria identità che si ha e si aveva fino a quel momento. Tuttavia, per far sì che questo definirsi continuo abbia successo, l’individuo necessita o di forza o di mezzi che riescano a rendere possibile questa continua definizione di sé. E’ un qualcosa che viene determinato ogni secondo e rideterminato ogni secondo ancora dopo e in ogni atto si necessita della stessa forza che si necessitava nel precedente. Ma anche nel caso in cui non si vedesse l’identità come un Io fichtiano che deve porsi e definirsi in ogni istante, non possiamo negare che vi dev’essere un momento o una consequenzialità di momenti in cui l’identità viene creata. Non si può negare la creazione dell’identità. Un tempo si sarebbe potuto, in quanto l’identità veniva posta, fornita da cause esterne all’individuo, da attributi cui l’individuo non poteva opporsi in alcun modo (vd. supra.: Identità liquida); tuttavia ora, con l’origine dell’identità liquida, nulla è più dato o posto da fattori esterni e, quando si parla di identità, tutto deve essere costruito dall’individuo. E’ lui stesso che deve identificarsi in un’identità da lui stesso costruita.
Tutto ciò non pone alcun problema nel momento in cui il contesto in cui si vive e la personalità che si ha fornisce una caratterizzazione necessaria del sé, una particolarizzazione di se stessi, un riconoscimento in determinati e ben definiti valori, un’appartenenza ad una definita comunità, ecc., affinché tutta l’identità possa essere costruita a partire dal contesto senza un bisognodell’individuo di doversi costruire questa caratterizzazione da sé. Tuttavia, nel caso in cui l’individuo non possiede tutto ciò, e dunque è così posto nel mondo, senza alcuna costruzione e caratterizzazione del sé da parte propria, esso è anonimo; è privo di identità. Tutte quelle cose che lo fanno ricadere in un anonimato di massa, che non lo fanno distinguere par alcuna cosa, per alcuna particolarità, da ciò che è altro (se non il nome e l’aspetto), lo fanno alienare dalla società. Non si ha identità, non si ha posto in società, giacché nessuno può riconoscere l’individuo se non a partire da nome e aspetto. Ma una persona con un lavoro estremamente ordinario, un orientamento politico non pronunciato o assente, passione alcuna o poche ed estremamente comuni, ecc., nella società non esiste. Non ha posto.
Dunque, se tale individuo riesce a comprendere questa assenza di identità e dunque di riconoscimento all’interno della società come un essere caratteristico e distinguibile e se, com’è comprensibile e probabile che sia, una volta realizzato ciò avverte il bisogno di una sua creazione, deve necessariamente appellarsi alla forza e alla capacità (che non possono essere ordinarie) di caratterizzarsi a partire dal nulla totale o dalla quasi totale nullità. Se, però, come è nuovamente probabile che sia, il suddetto individuo non avesse le forze di crearsi questa identità a partire da quasi nulla o nulla, si troverebbe davanti solo due strade: rassegnazione oppure appartenenza ad una comunità con forte caratterizzazione sociale; dunque tutte quelle comunità che, per un verso o per un altro, sono a qualche estremo (positivamente o negativamente che sia) e che dunque godono di enorme particolarità.
Ecco, quindi, che l’entrare a far parte della comunità LGBTQ+ diventa un’idea allettante anche nel momento in cui non si rientra in alcuna categoria. Tuttavia non si può rientrare in essa facendo parte delle categorie che definiscono la propria sessualità se non vi si appartiene davvero, a meno che, certo, non lo si finga consciamente. Ma non è poi così difficile convincersi di appartenere ad una delle categorie che definiscono il genere.
Una persona senza alcuna identità, in questo stato sociale di identità liquida in cui bisogna crearsela da sé, che non possiede né mezzi né forze per produrla, e che è amichevole con questa comunità, potrà, senza alcuna fatica, sicuramente definirsi queer. Che equivale a non definirsi, non avere una definizione di sé che ci rispecchi. Tuttavia, non avere una definizione di sé è, in qualche modo averla, essendo all’estremo dell’assenza d’identità: la si ha oggettivizzata, nominata, manifestata, accettata e razionalizzata; inoltre la comunità LGBTQ+ è una comunità che offre una forte connotazione identitaria e sociale, come orientamento politico, come visione umana, ecc., e dunque ecco che l’identità è fornita da questa comunità e non dall’individuo.
Tuttavia il riconoscimento in una persona transgender solo allo scopo di avere un’identità è certamente un processo più doloroso, più drastico ed estremo, che deve far fronte ad una maggiore necessità di definirsi in modo ancora più netto. Ovviamente il definirsi transgender quando non lo si è davvero, ma solo per ovviare ad una mancanza di identità, non è di certo un processo conscio; tuttavia ciò non lo rende né meno probabile né meno possibile. Difatti è perfettamente comprensibile che una persona priva di identità, la quale magari non si ritrova neppure pienamente in quegli stereotipi sociali attribuiti al genere, e che familiarizzi anche con la comunità LGBTQ+, scelga, dopo essersi inconsciamente convinto di non trovarsi bene con il proprio sesso, di definirsi transgender anche nel momento in cui non lo è di per sé. Tante persone, infatti, cadono nell’errore di credersi tali per poi accorgersi di non esserlo; certo, altrettante persone, anzi, forse di più, lo sono davvero e sono davvero in difficoltà e a disagio con il genere che gli viene attribuito; tuttavia, dato il numero salito ad un picco così alto in un così breve tempo, alcuni, oltre a coloro che, vedendolo come fenomeno accettato socialmente non lo reprimono a tal punto da eliminare tale sensazione, ed oltre a coloro che lo manifestano non sentendosi più sbagliati ma culturalmente e socialmente accettabili, credo sia probabile che una percentuale, rilevante o meno, della comunità transgender siano individui che si riconoscano nella definizione di transgender pur non essendolo; bensì essendosene convinti inconsciamente per sopperire al bisogno, più o meno conscio, di avere un’identità, non riuscendo a produrla in una società che mira all’annientamento di essa tramite massificazione, omologazione, consumismo, ecc., in una società in cui è più faticoso e difficile costruirla date le difficoltà che l’identità liquida inevitabilmente pone senza che l’uomo abbia sviluppato tutti i mezzi necessari per superarle, e in un nuovo contesto sociale in cui la comunità LGBTQ+ non è ghettizzata e ripudiata, bensì accettata ma non a tal punto da non essere estrema e da non avere battaglie (dunque da offrire un’identità estremamente precisa - oltre alla nuova identità di genere che contribuisce -).
CONCLUSIONE
Se si vuole rispondere alla domanda “cosa vuol dire «uomo» e cosa vuol dire «donna»?” la risposta è: si accetta il femminismo dell’uguaglianza? Nel caso in cui la risposta sia “sì”, allora tutto il discorso sul genere non ha ragione di esistere, in quanto se x e y sono uguali allora sono la stessa cosa e se sono la stessa cosa possono chiamarsi entrambi z senza alcuna distinzione; ma se entrambi possono chiamarsi z non v’è scelta, dunque, avendo tutti lo stesso genere z, non v’è un fattore identitario e quindi è inutile distinguerlo dal sesso, giacché la distinzione ha solo valore identitario. Nel caso in cui la risposta è “no”, allora la conclusione è che il genere, definito dalla cultura, è un fattore identitario che determina fortemente l’individuo e che, come studi dimostrano, è possibile e non così poco comune che sia diverso dal sesso biologico.
Se si vuole rispondere alla domanda “cos’è l’identità?”, la risposta è: prima che si entri in contatto con la società, in un momento in cui non v’è bisogno di comunicare con nessuno, attraverso la semplice, indefinibile e incomunicabile, conoscenza di sé espressa nella proposizione “io sono me”, e dunque si forma con l’egognosi; tuttavia nel momento in cui si entra nella società e dunque si sente il bisogno di comunicare quel me attraverso significati e significanti, l’egognosi decade e si forma l’idolum aliorum, una semplificazione dell’egognosi attraverso il linguaggio e attraverso le categorie riconosciute socialmente come parti di identità (lavoro, aspetto fisico, carattere, passioni, capacità ecc.). Ciononostante che l’arrivo della liquidità baumiana e dell’abbattimento dunque di qualsiasi istituzione, sono decadute anche le categorie che sono frutto di istituzioni sociali e della solidità (anch’essa nel significato che Zygmunt Bauman gli fornisce) che non viene più tollerata, e dunque si crea uno stato in cui la società non impone categorie e dunque si restaura l’egognosi che però deve far fronte alla propria incomunicabilità e dunque si fonde con l’idolum aliorum e da origina ad una caosonomia, ovvero una situazione identitaria caotica in cui la società non la determina ma esige una spiegazione di essa originata in totale libertà.
Se, per concludere, invece, si volesse rispondere alla domanda “perché così tante oscillazioni identitarie?”, la risposta sarebbe: per ovviare a quelle difficoltà che l’identità liquida pone, ovvero il doversi creare da soli, a prescindere da mezzi e forze, la propria identità, nel momento in cui l’individuo non riesce a farlo può accadere, specialmente se amichevole nei confronti della comunità LGBTQ+ che, dopo essersi convinto inconsciamente di una propria disforia di genere, si riconosca come transgender rendendo sua quell’identità che una posizione sociale così estrema, l’appartenenza ad una comunità così radicale, e una drastica trasformazione del proprio genere, offrono.
NOTE
[1] Enciclopedia Treccani, Politically correct, Definizione e origini, https://www.treccani.it/enciclopedia/politically-correct_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/ [2] Traducibile ine: “Fenomeno: qualcosa che esiste e che può essere visto, sentito, gustato, etc.” [3] Cambridge Dictionary, Phenomenon, https://dictionary.cambridge.org/dictionary/english/phenomenon [4] Andrea Crapanzano, Bernardo Carpiniello, Federica Pinna, Approccio alla persona con disforia di genere: dal modello psichiatrico italiano al modello emergente basato sul consenso informato, Rivista di Psichiatria, Vol. 56, N. 2, Il Pensiero Scientifico Editore, 2021, pp. 120-128, doi: 10.1708/3594.35771, http://dx.doi.org/10.1708/3594.35771 [5] Vocabolario Treccani, Transgender, https://www.treccani.it/vocabolario/transgender/ [6] Cambridge Dictionary, Sex, https://dictionary.cambridge.org/it/dizionario/inglese/sex [7]Francesca Pignataro, Intersex, un’antologia multidisciplinare -Per un’analisi dell’intersessualità e in difesa dei diritti umani delle persone intersex, Il Chiasmo, 2021, https://www.treccani.it/magazine/chiasmo/extra/SNS_Pignataro_Intersex.html [8] World Health Organization, Gender and Health, https://www.who.int/health-topics/gender#tab=tab_1 [9] Cambridge Dictionary, Masculinity, https://dictionary.cambridge.org/it/dizionario/inglese/masculinity [10] Cambridge Dictionary, Femininity, https://dictionary.cambridge.org/it/dizionario/inglese/femininity [11] Traducibile in: “Il fatto di essere, o sentire di essere un particolare tipo di individuo, organizzazione ecc.” [12] Cambridge Dictionary, Identity, https://dictionary.cambridge.org/it/dizionario/inglese/identity 12 Colman, Andrew M, Social identity theory, A Dictionary of Psychology, Oxford University Press, 2008, https://www.oxfordreference.com/view/10.1093/acref/9780199534067.001.0001/acref-9780199534067-e-7747. [14] Olson, Eric T., Personal Identity, A cura di Edward N. Zalta, The Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2022, Metaphysics Research Lab - Stanford University, [15] Luigi Pirandello, Uno Nessuno Centomila, Skylabstudios, pag. 150, pdf. https://www.skylabstudios.it/unonessunocentomila/pirandello_uno_nessuno_centomila.pdf [16] Ashforth, Blake E. and Schinoff, Beth S., Identity Under Construction: How Individuals Come to Define Themselves in Organizations, Annual Review of Organizational Psychology and Organizational Behavior, Vol. 3, N° 1, pp. 111-137, 2016, doi 10.1146/annurev-orgpsych-041015-062322, https://www.annualreviews.org/doi/pdf/10.1146/annurev-orgpsych-041015-062322 [17] Brewer, Marilynn B., The Many Faces of SocialIdentity: Implications for Political Psychology, Political Psychology, Vol. 22, N° 1, 115-125, 2002, Published on behalf of the International Society of Political Psychology, doi: https://doi.org/10.1111/0162-895X.00229, https://onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.1111/0162-895X.00229 [18] Brewer, Marilynn B., The Many Faces of SocialIdentity: Implications for Political Psychology, Political Psychology, Vol. 22, N° 1, 115-125, 2002, Published on behalf of the International Society of Political Psychology, doi: https://doi.org/10.1111/0162-895X.00229, https://onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.1111/0162-895X.00229 [19] https://www.treccani.it/enciclopedia/genere [20] Françoise Héritier, Maschile e Femminile – Il pensiero della Differenza, Editori Laterza, 2006, p.8 [21] Françoise Héritier, Maschile e Femminile – Il pensiero della Differenza, Editori Laterza, 2006, pp.7-8 [22] Friedrich Nietzsche Il Crepuscolo degli Idoli, Tascabili Economici Newton, 1994 [23] Differenza tra sostantivi, articoli e aggettivi tra maschile e femminile (con l’esistenza di lingue, e.g. l’italiano, che non hanno il neutro). [24] Le differenze fisiche evidenti. [25] Françoise Héritier, Maschile e Femminile – Il pensiero della Differenza, Editori Laterza, 2006, pp.9-10 [26] Adam J. Kuper, Parentela, Enciclopedia delle Scienze sociali, Treccani, 1996, https://www.treccani.it/enciclopedia/parentela_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/ [27] Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, Paris, Mouton, 1967, 2 ° edizione, p.60 [28] Stefania Sciacca, Claude Lévi-Strauss, il matrimonio come scambio, Eco Internazionale, Orizzonti, 2021, https://ecointernazionale.com/2021/03/claude-levi-strauss-matrimonio-come-scambio/ [29] Françoise Héritier, Maschile e Femminile – Il pensiero della Differenza, Editori Laterza, 2006, p.10 [30] Aiace, Sofocle, v. 293 [31] Françoise Héritier, Maschile e Femminile – Il pensiero della Differenza, Editori Laterza, 2006, p.12 [32] Norman Wilde, The Problem of Liberty, International Journal of Ethics, Vol. 33, N°3, University of Chicago Press, 1923, pp. 291- 306, http://www.jstor.org/stable/2377334 [33] Zygmunt Bauman, Modernità Liquida, Editori Laterza, 2011, pp. VII-VIII [34] Zygmunt Bauman, Modernità Liquida, Editori Laterza, 2011, pp. VI-VIII [35] Garcia-Falgueras, Alicia and Swaab, Dick F., A sex difference in the hypothalamic uncinate nucleus: relationship to gender identity, Brain, Vol. 131, N°12, pp. 3132-3146, 2008, doi: 10.1093/brain/awn276, https://doi.org/10.1093/brain/awn276 [36] American Psychological Association. Answers to your questions about transgender people, gender identity, and gender expression, March 9, 2023, https://www.apa.org/topics/lgbtq/transgender-people-gender-identity-gender-expression [37] American Psychological Association. Answers to your questions about transgender people, gender identity, and gender expression, March 9, 2023, https://www.apa.org/topics/lgbtq/transgender-people-gender-identity-gender-expression [38] Aristotele, Metafisica, Libro Gamma, cap. 3, 1005 b 19-20. [39] Leibniz, Opera Philosophica, Pars prior, Berlino 1840, a cura di Johann Eduard Erdmann, p. 94.
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